VITERBO – Girando per la città e ascoltando cittadini e commercianti da parecchio tempo ormai a questa parte la percezione (a mio parere netta) è quella di una insoddisfazione crescente nei confronti della amministrazione in carica: ovviamente per quest’ultima sarà vero tutto il contrario di quanto da me avvertito, ma è inutile ormai chiedere autocritica anche parziale ai frontiniani, convinti di avere a Palazzo la migliore giunta mai esistita nella storia di Viterbo.
In questo momento quello che più preoccupa in città è la mancanza di un civile ed utile dibattito democratico sul futuro di Viterbo: da una parte i campanilisti ad oltranza, gli “sciovinisti etruschi” dei civici venti-ventini che hanno sicuramente favorito l’isolamento ulteriore cultural-politico della vetus urbs dall’occidente più evoluto, dall’altro la poco attiva e battagliera, tiepida, piuttosto scialba, ipotesi governativa alternativa di una opposizione poco convinta di mettere la sindaca in crisi.
Speriamo che sia solo quello di quest’ultima un problema organizzativo, non un’ennesima conseguenza diretta di quel trasversalismo che ha già ridotto a pezzi in passato (e continua a farlo) una intera città ed un’intera provincia.
L’opposizione che ha più possibilità di mettere in difficoltà l’amministrazione civica continua ad essere il centrodestra che ovviamente deve ritrovare compattezza, unità di intenti e decisione per proporsi con autorevolezza alla guida del capoluogo: molto meno incisiva numericamente appare la possibile alternativa di centrosinistra con i cinquestelle tradizionalmente a Viterbo con un elettorato meno vasto.
E’ chiaro però che il suddetto centrodestra non può nascondersi fino alla fine del mandato frontiniano, due anni sono troppi per una vetus urbs in grande affanno: profittando della permanenza al governo della nazione il polo moderato conservatore deve incalzare i ventiventini e provare con tutte le proprie forze a costringerli alle dimissioni anticipate.
Qualsiasi blando, eterno navigare a vista non farebbe altro che dare l’impressione di un fare melina inutile, riconducibile all’incombente minaccia, sempre presente nel capoluogo, di un possibile inciucio potenziale che elimini le differenze e punti solo alla conservazione del potere.
E sarebbe una scelta che seppellirebbe Viterbo sotto una spessa coltre di mortale immobilismo politico e di totale mancanza di qualsivoglia volontà di crescita.