La crisi della provincia italiana è sotto gli occhi di tutti, ormai il grosso degli eventi e degli investimenti si è spostato nelle aree metropolitane e i centri minori soffrono, tranne una serie di sporadiche eccezioni, periodi di vacche magre e di mancanza di fondi e di progetti all’altezza dei tempi.
All’interno di questo panorama molto poco entusiasmante, Viterbo fatica non poco a trovare una sua identità e a posizionarsi sul mercato dei finanziamenti governativi specie per la cultura e l’intrattenimento di qualità.
Eppure la vetus urbs dovrebbe puntare a ritagliarsi un ruolo definito e non secondario all’interno delle piccole città d’arte, assorbendo manifestazioni e progetti che Roma Capitale non fa in tempo a coprire e a gestire.
C’è richiesta da anni da parte della città eterna nei confronti del capoluogo della Tuscia, solo a me è capitato di assistere alla proposta di eventi di assoluto livello nazionale che però Viterbo si è lasciata sfuggire con il suo purtroppo frequente e caratteristico spirito perdente-rinunciatario.
Non è stata mai data una direzione alla politica culturale della Tuscia e del suo centro-vetrina, spesso da parte delle istituzioni si è scelto nel viterbese di non scegliere, di limitarsi alle sagre di paese e agli avvenimenti religiosi più attesi.
Ma attorno a questi ultimi non è mai stato costruito un modello organizzativo moderno ed evoluto, in grado di sprovincializzare un ambiente rimasto claustrofobico e chiuso in se stesso, con scarsissime o nulle aperture verso l’esterno.
Con un quadro così poco vivace chiaro che Viterbo sia rimasta negli anni isolata e diffidente verso ogni cambiamento e ripensamento social-culturale.
Restando così un capoluogo depresso e mai cresciuto, che spesso perde il tempo a complicarsi la vita con il dilettantismo ed il pressappochismo e che non riesce ad uscire fuori da una certa pesantezza ambientale che certo non migliora la vità nè della collettività nè dei singoli cittadini.