Roma – Giovani, simboli e ribellione: quando il passato torna in cortile

ROMA – Nel panorama sempre più complesso dell’adolescenza italiana, si sta affermando una nuova forma di espressione provocatoria: l’uso di motti in latino, riferimenti all’antica Roma e – in alcuni casi – gesti e simboli legati a ideologie del Novecento.

A Roma, in particolare, alcuni gruppi di studenti liceali sembrano affascinati da un’estetica ispirata alla destra storica e imperiale, che si esprime soprattutto sui social attraverso frasi come “Ave Cesare, morituri te salutant”, “Roma vocat”, “Sic transit gloria mundi”, “Romani, sumus filii Lupae Capitolinae“, “Honos et Virtus“, “Roma vocat“, “Ad unum“.

Dietro questo fenomeno si cela una tendenza culturale più profonda, dove la riscoperta della romanità si intreccia con un desiderio di ribellione. In un mondo percepito da alcuni giovani come iper-regolato, omologato e dominato da una visione “woke”, l’anticonformismo sembra prendere la forma di una provocazione identitaria.

L’episodio più recente si è verificato lo scorso 6 giugno al liceo Malpighi di Roma. Una trentina di studenti dell’ultimo anno si sono radunati nel cortile della scuola, si sono tolti la maglietta e hanno eseguito un gesto controverso: il saluto romano, immortalato in una foto di gruppo. Alcuni di loro hanno anche esposto uno striscione con frasi ispirate al linguaggio del ventennio fascista. L’immagine, diffusa sui social, ha subito fatto il giro del web, suscitando reazioni contrastanti.

Per molti, si è trattato di un gesto grave e inaccettabile, che richiama simboli chiaramente vietati e legati a un periodo storico segnato da dittatura, violenza e leggi razziali. Per altri, invece, si tratterebbe di una “provocazione studentesca”, una forma di ribellione fine a sé stessa, figlia più del disagio e della ricerca di identità che di una reale adesione ideologica.

Secondo alcuni sociologi, il fascino che alcuni giovani provano verso la simbologia del passato ha radici complesse. C’è chi parla di “estetica della forza”, chi di “vuoto valoriale” e chi, ancora, di “richiesta di visibilità e appartenenza”. In una società sempre più fluida, i simboli netti, antichi, scolpiti nella pietra e nella storia, possono esercitare un’attrazione potente. Il rischio, però, è che questi simboli vengano adottati senza la necessaria consapevolezza storica, e confusi per forme di eroismo o purezza ideologica.

L’episodio del Malpighi ha spinto il corpo docente a intervenire, avviando un dialogo con gli studenti e le famiglie. Alcuni professori hanno sottolineato la necessità di rafforzare l’educazione civica e storica, affinché i ragazzi capiscano la portata dei gesti che compiono, e i valori democratici su cui si fonda la Repubblica italiana.

Il dibattito è destinato a continuare. Ma una cosa è certa: non basta indignarsi sui social, né ridurre tutto a una guerra ideologica. Occorre ascoltare, capire e — soprattutto — educare. Perché dietro ogni provocazione giovanile si nasconde sempre una domanda. La sfida è saperle dare risposta, senza lasciare che sia la storia a ripetersi.

Tantissimi giovani si rifugiano sui social stufi dei canali televisivi dove abbondano, tra conduttori e ospiti, personaggi dichiaratamente gay o lesbiche. Di tutto lo spazio che viene dato ai pride e alle trasgressioni che vogliono per forza di cose far passare per normali certi atteggiamenti.

La ribellione è anche “volare sopra boschi di braccia tese” e se questi scienziati del “woke” non lo capisco non faranno altro che aumentare lo scontro sociale e generazionale.