Sono migliaia di cartelle che rischiano la nullità ma sulle quali la politica tace
C’è un nervo scoperto nel sistema fiscale italiano di cui si parla ancora troppo poco, ma che potrebbe deflagrare da un momento all’altro. Parliamo dei cosiddetti “falsi dirigenti” dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER): funzionari interni nominati a ruoli dirigenziali senza concorso pubblico, in palese violazione dei principi costituzionali. E c’è un dettaglio che inquieta: su quelle firme discutibili si reggono oggi migliaia, forse milioni, di cartelle esattoriali, ruoli, avvisi e ingiunzioni fiscali.
La scorciatoia incostituzionale
Tutto ha inizio nel 2012, quando — in nome dell’urgenza e della produttività — il governo varò il decreto-legge 16/2012, autorizzando l’Agenzia a promuovere dirigenti scegliendoli internamente, senza passare da alcun concorso pubblico. Una forzatura clamorosa, bocciata senza appello dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 37/2015. Una sentenza chiara: senza concorso pubblico, l’incarico è nullo e il firmatario non ha alcun potere. Eppure, per anni, quegli atti sono continuati a circolare indisturbati.
La giustizia amministrativa conferma: firme senza valore
Il caso è approdato nelle aule giudiziarie e alcuni pronunciamenti sono stati lapidari. Il Consiglio di Stato (ordinanza n. 3213/2017) ha richiamato la stessa pronuncia della Consulta, accogliendo i ricorsi presentati da associazioni di categoria come Dirpubblica. Studi legali autorevoli, come quello di Villani, parlano ormai apertamente di nullità assoluta di tutti gli atti firmati da questi dirigenti “abusivi”. E diverse Commissioni Tributarie hanno già cominciato ad annullare cartelle e avvisi invalidi, dalla Lombardia alla Puglia.
Un vizio insanabile che lo Stato finge di ignorare
La realtà è che ci troviamo di fronte a una montagna di atti che — giuridicamente — non sono mai esistiti. Eppure continuano a produrre effetti molto reali: pignoramenti, blocchi di conti correnti, fermi amministrativi. Solo chi ha avuto tempo, risorse e conoscenze per opporsi ha potuto ottenere giustizia. Chi non ha potuto reagire — perché ignaro o privo di assistenza — ha subito in silenzio, pagando somme su atti firmati da funzionari privi di qualsiasi titolo legittimante.
La beffa dell’onere di prova rovesciato
In teoria, sarebbe stato compito del contribuente verificare la qualifica del firmatario, presentare istanze e impugnare l’atto entro termini stringenti. In pratica, lo Stato ha trasferito sulle spalle dei cittadini il peso di un controllo che avrebbe dovuto essere garantito dall’Amministrazione stessa. Un paradosso giuridico che grida vendetta: il vizio è originario, insanabile e imputabile alla Pubblica Amministrazione. Eppure, per il solo decorso dei termini, milioni di atti privi di firma valida vengono considerati comunque esecutivi.
Un vulnus alla democrazia fiscale
Il problema ormai travalica il perimetro tecnico-giuridico. Qui non si tratta solo di formalismi amministrativi: è in gioco il rispetto del principio di legalità, il pilastro dello Stato di diritto. Se le regole costituzionali possono essere violate senza conseguenze reali, si mina la fiducia dei cittadini nella giustizia fiscale e amministrativa. La logica emergenziale del “prima incassiamo, poi vedremo” ha prodotto un disastro politico e istituzionale che nessuno oggi sembra voler affrontare con il dovuto coraggio.
La domanda scomoda
Resta dunque una domanda drammatica e ancora inevasa:
Come può uno Stato democratico, fondato sul diritto e sulla Costituzione, continuare a far valere atti che i suoi stessi organi giurisdizionali hanno dichiarato nulli? Solo perché il contribuente, a volte incolpevole, non ha avuto la possibilità di impugnare in tempo?
È questa la ferita più profonda: l’accettazione silenziosa di una contraddizione insostenibile tra legalità teorica e prassi concreta. Il rischio è che, perseverando su questa strada, si apra un pericoloso scollamento tra cittadino e istituzioni. E quando la fiducia viene meno, anche la riscossione fiscale — tanto invocata — diventa un’operazione senza legittimazione democratica.