Porti allo sbando: il Ministero dei Trasporti trasforma l’economia del mare in un ufficio di collocamento per amici senza titoli

Il viceministro Edoardo Rixi sta ridicolizzando la portualità italiana con scelte elaborate dal “manuale Cencelli” e dalla “comprovata inesperienza” nel settore. Ormai siamo al ridicolo

ROMA – Nel silenzio assordante delle opposizioni e nella totale indifferenza della maggioranza, il Ministero dei Trasporti — guidato da Matteo Salvini e con l’instancabile collaborazione del vice ministro Edoardo Rixi — continua imperterrito a distribuire poltrone strategiche come fossero premi della tombola natalizia.

Peccato che non si stia parlando di circoli bocciofili o proloco, ma dei vertici delle Autorità di Sistema Portuale, cioè di quell’infrastruttura vitale che muove oltre il 30% del PIL italiano. Eppure, oggi in Italia basta avere una delega alla “navigabilità dell’Arno” o una patente nautica per essere considerati esperti di logistica e portualità.

Il caso Latrofa: dalla giunta comunale ai vertici del mare

Simbolo perfetto di questa deriva è la nomina del vicesindaco di Pisa, Raffaele Latrofa, indicato per guidare l’Autorità portuale del Mar Tirreno centro-settentrionale (Civitavecchia, Fiumicino, Gaeta). Un nome pescato non tra tecnici con esperienza decennale in shipping o logistica internazionale, ma tra gli amministratori locali con qualche cantiere cittadino alle spalle e – dicono i suoi sostenitori – una solida esperienza nel verde pubblico e nella riqualificazione urbana. Roba che in un paese normale non sarebbe nemmeno sufficiente per una direzione in Capitaneria di porto. E invece in Italia basta e avanza.

La legge, in teoria, richiederebbe «comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale». Ma si sa, tra il dire e il nominare, di mezzo c’è il ministero. E il ministero ha deciso che Latrofa è l’uomo giusto. O meglio: è l’uomo “di partito” giusto. Del resto fa parte anche di una commissione per la costruzione del ponte sullo Stretto, fa comodo nominarlo oggi.

Rixi e la nuova geografia portuale: a ciascuno il suo amico

È chiaro a tutti che dietro questo risiko c’è un disegno politico ben preciso, dove la logica non è quella dell’interesse nazionale ma quella della spartizione. Il vice ministro Rixi, regista silenzioso ma efficace, ha trasformato la mappa portuale italiana in un grande manuale Cencelli, con nomine calate dall’alto, completamente sganciate da qualsiasi criterio tecnico. Si distribuiscono presidenze per accontentare sindaci, vice, ex candidati trombati e funzionari di partito, senza il minimo riguardo per l’importanza strategica dei porti. Altro che riforma portuale — promessa e poi dissolta nel nulla — qui siamo di fronte a una regressione sistemica.

Il paradosso: se fosse un ospedale, avremmo un idraulico in sala operatoria

Non è solo una questione di merito (che già basterebbe per indignarsi). È una questione di sicurezza nazionale, di credibilità del sistema Italia e di danno potenziale agli investimenti. Civitavecchia, ad esempio, è il primo porto crocieristico del Paese, il secondo in Europa, un colosso da oltre 3 milioni di passeggeri. Ma ora rischia di finire sotto commissariamento tecnico se — come pare inevitabile — partiranno i ricorsi annunciati dalla FICT, la Federazione Europea dei Manager dei Trasporti.

Il paragone è crudo ma efficace: sarebbe come affidare un reparto di cardiochirurgia a un muratore solo perché è bravo con la cazzuola. Oppure, per restare in ambito portuale, come assegnare il comando di una petroliera a un turista che una volta ha preso il traghetto per la Sardegna. Assurdo? No, è la nuova normalità nel Paese dove il Ministero dei Trasporti ha fatto saltare qualsiasi standard, e dove il vero requisito richiesto per governare l’economia del mare è la fedeltà politica.

Il silenzio complice delle opposizioni

Quello che lascia attoniti è l’assenza totale di indignazione da parte delle opposizioni. Anzi, il Ministero ha avuto persino l’accortezza di assegnare qualche nomina “rossa”, giusto per anestetizzare eventuali reazioni. Il risultato? Un consenso bipartisan che sa di complicità. In attesa che anche i miracolati del centrosinistra si accomodino a loro volta sulle poltrone portuali e che partano i ricorsi incrociati. Tutti contro tutti, a discapito del Paese.

La giostra delle poltrone non si ferma

Intanto, porti come Taranto e Palermo rischiano lo stesso destino. Lì le nomine sono cadute su profili altrettanto “creativi”, con l’aggravante che molti di questi presidenti resteranno impantanati in ricorsi amministrativi e blocchi operativi. Invece di accelerare, il sistema si sta impantanando in una palude legale e burocratica da cui sarà difficile uscire senza danni gravissimi all’export, al turismo, all’occupazione.

Per il vice ministro Edoardo Rixi il requisito per ricoprire la presidenza di un porto è la “comprovata inesperienza”

Se questo fosse un software, il consiglio sarebbe semplice: spegnete tutto e riavviate. Ma siccome parliamo di uno dei comparti economici più importanti d’Italia, serve ben altro: serve una reazione politica, civile e istituzionale che fermi questa deriva. Non possiamo permettere che i porti italiani — infrastrutture complesse, strategiche, decisive per la competitività nazionale — diventino preda dell’incompetenza travestita da fedeltà politica. Serve una botola, sì. Ma non per i porti. Per chi li sta affondando.