L’atto dovuto (omicidio colposo), dopo l’autopsia sul corpo del 17enne, procede a grandi passi verso l’archiviazione
MONTALTO DI CASTRO (VT) – C’è una giustizia che non fa rumore, che procede in silenzio, con passo misurato e rispetto profondo per il dolore. È quella che si sta muovendo attorno alla tragica morte di Riccardo Boni, il ragazzo di 17 anni sepolto dalla sabbia a Montalto di Castro, mentre giocava in spiaggia.
A guidarla è il procuratore capo di Civitavecchia Alberto Liguori, magistrato di lungo corso, ma soprattutto uomo capace di comprendere il peso umano che si nasconde dietro ogni fascicolo.
Liguori ha aperto un’indagine per omicidio colposo e ha iscritto nel registro degli indagati il padre del ragazzo. Un atto puramente tecnico, necessario per autorizzare l’autopsia e gli accertamenti irripetibili. Un passaggio doloroso ma obbligato, in un sistema che ha bisogno di verificare ogni aspetto prima di poter chiudere una vicenda tanto tragica quanto limpida nella sua dinamica. Nessuna accusa, nessun sospetto reale, nessuna ombra sul genitore. Solo la necessità di fare chiarezza con gli strumenti del diritto.
Il procuratore ha scelto il massimo riserbo. Nessuna uscita pubblica, nessuna dichiarazione roboante. Solo il silenzio del rispetto, mentre fuori – soprattutto sui social – si è levato un coro scomposto di giudizi sommari, puntati proprio contro quel padre, travolto da un dolore impossibile da descrivere. Liguori ha lasciato che a parlare fossero i fatti, non le emozioni distorte dall’ignoranza o dalla fretta di trovare un colpevole.
È anche così che si misura la grandezza di un magistrato: nella capacità di tenere insieme il rigore dell’indagine e l’umanità di chi sa riconoscere, dietro ogni tragedia, il volto di una famiglia spezzata.
La dinamica è chiara, ma la giustizia deve comunque completare il proprio corso. Riccardo, in vacanza con la famiglia al campeggio California, stava scavando una buca nella sabbia, forse tentando di collegare due cavità con un piccolo tunnel. Un gioco. Un gesto innocente. Ma quando ha cominciato a scavare in orizzontale, la sabbia è crollata e lo ha intrappolato. Era solo. I fratelli, che inizialmente erano con lui, si erano allontanati. A capire per primo cosa fosse successo è stato il fratellino più piccolo, di appena cinque anni, che ha detto con innocenza disarmante: «Riccardo è sotto la sabbia».
Quelle parole sono rimaste sospese, inizialmente inascoltate, fino al ritrovamento del corpo. È stato proprio lui, quel bambino, a guidare i soccorritori fino alla buca. Da lì è partita una corsa contro il tempo. Ma era troppo tardi.
Sulla spiaggia, intanto, restano ancora i nastri dei carabinieri a delimitare il perimetro della tragedia. Alcuni turisti la chiamano già “la duna maledetta”. Ma per chi porta sulle spalle il compito di indagare, come il procuratore Liguori, ogni parola ha un peso. E ogni gesto deve essere calibrato sulla base della giustizia e del rispetto.
È probabile che l’inchiesta si concluda con una richiesta di archiviazione, come spesso accade in tragedie simili, dove la fatalità prende il sopravvento su qualsiasi responsabilità. Ma ciò che resterà impresso è il modo in cui la Procura di Civitavecchia, attraverso la guida silenziosa e umana del suo capo, ha affrontato questo caso: con fermezza, ma anche con compassione. Perché in certe vicende, il diritto non basta. Serve anche il cuore.