Civitavecchia, la Procura guidata da Alberto Liguori sequestra il centro chimico di Santa Lucia: venti ufficiali indagati per disastro ambientale

CIVITAVECCHIA – Una svolta decisa nell’inchiesta ambientale che scuote l’Esercito italiano. La Procura di Civitavecchia, sotto la guida del procuratore capo Alberto Liguori, ha disposto il sequestro del centro chimico militare di Santa Lucia, teatro di una maxi-inchiesta per disastro ambientale.

L’area, secondo gli inquirenti, custodisce una vera e propria bomba ecologica: nel sottosuolo sarebbero presenti sostanze altamente tossiche come arsenico, iprite e gas mostarda — residui delle più letali armi chimiche impiegate nei conflitti mondiali.

A finire nel mirino della magistratura sono venti alti ufficiali dell’Esercito, accusati di aver ignorato o sottovalutato la gravità della situazione. L’impianto, secondo l’accusa, avrebbe dovuto garantire l’isolamento sicuro di rifiuti bellici estremamente pericolosi. Invece, il progressivo deterioramento dei contenitori in cemento, ormai compromessi, avrebbe innescato un rischio concreto di contaminazione del suolo, delle falde acquifere e dell’aria.

L’indagine nasce da lontano. A far scattare la scintilla è stato un fascicolo aperto dalla Procura di Reggio Emilia su presunti smaltimenti irregolari di munizionamento obsoleto da parte di alcuni reparti militari. Da lì, il passaggio di documenti e atti giudiziari ha portato alla Procura di Civitavecchia, che ha avviato un filone autonomo d’indagine culminato nei giorni scorsi con il sequestro del sito.

Il sindaco di Civitavecchia Marco Piendibene e l’assessore all’Ambiente Stefano Giannini hanno espresso forte preoccupazione per la situazione:
«Parliamo di un’area militare che avrebbe dovuto garantire sicurezza e isolamento. Oggi rischia invece di trasformarsi in un disastro ambientale che potrebbe coinvolgere tutto il territorio», hanno dichiarato.

Secondo le prime stime, all’interno della discarica sarebbero stoccate circa 20mila tonnellate di rifiuti tossici di origine bellica. Le condizioni dei fusti, molti dei quali corrosi, alimentano timori concreti di dispersione delle sostanze nell’ambiente.

Dal Comune, intanto, arriva la richiesta formale alla Regione Lazio e all’ARPA di rendere pubblici i risultati delle analisi in corso e attivare — se non già fatto — un monitoraggio permanente della zona.

«Civitavecchia ha già pagato un prezzo altissimo in termini ambientali e sanitari. La tutela della salute pubblica è la nostra priorità assoluta», hanno ribadito Piendibene e Giannini.
Il messaggio è chiaro: le istituzioni locali seguiranno da vicino l’inchiesta condotta dalla Procura e non abbasseranno la guardia fino a quando non sarà fatta piena luce su un caso che potrebbe rivelarsi uno dei più gravi disastri ambientali di origine militare mai emersi in Italia.