Civitavecchia – “Salvini torna sul luogo del delitto”: tra fanfare e fiaschi, il disastro politico delle nomine portuali

CIVITAVECCHIA – Il titolo più azzeccato per raccontare la giornata di ieri? Ironico, ma terribilmente efficace: “Salvini torna sul luogo del delitto”. Perché sì, il vicepremier e ministro dei Trasporti è tornato a Civitavecchia, questa volta per presenziare alla solenne cerimonia dei 160 anni della Capitaneria di porto – Guardia Costiera.

Ma l’ombra che aleggia non è solo quella dei vessilli tricolori sventolanti o del Forte Michelangelo illuminato a festa. È quella di una nominopoli portuale che da mesi paralizza la governance dei porti italiani e che proprio qui, a Civitavecchia, ha scritto una delle sue pagine peggiori.

Latrofa, un nome che fa acqua

Il “delitto” simbolico di cui si parla è la nomina annunciata (e tuttora non formalizzata) di Raffaele Latrofa alla presidenza dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centro-Settentrionale, ovvero il porto di Civitavecchia. Un nome che ha suscitato sconcerto in tutto il settore: ingegnere civile, assessore all’urbanistica a Pisa, zero esperienza nel campo portuale. Nemmeno una riga di curriculum che abbia a che fare con logistica, shipping o portualità.

Un profilo che, in qualsiasi contesto normale, avrebbe provocato una levata di scudi bipartisan. Ma in questo governo, evidentemente, la competenza vale meno della fedeltà politica. Ecco allora che mentre il settore dei trasporti marittimi attende risposte su investimenti, digitalizzazione e transizione energetica, a vincere è l’equilibrismo spartitorio tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Il festival del rinvio (e del ridicolo)

Doveva essere il giorno della formalizzazione delle nomine: ieri, 22 luglio, ore 13:45, in Commissione VIII del Senato. Dieci presidenti da ratificare, tra cui quelli per Civitavecchia e Napoli/Salerno. E invece niente: rinvio su rinvio, in un balletto tragicomico in cui si incrociano scontri interni, veti incrociati e lotte per le poltrone.

Prima si erano accordati su Venezia alla Lega, Civitavecchia a Fratelli d’Italia, Napoli alla Campania. Poi è esploso il caso Palermo, con Forza Italia che ha bloccato tutto per opporsi alla candidata leghista Annalisa Tardino. Nel frattempo, nel partito di Giorgia Meloni volano stracci per l’eccessiva “zelanteria” del presidente della Commissione Trasporti della Camera, Salvatore Deidda. Risultato? Tutto rinviato a ottobre. Tanto i porti possono aspettare.

La festa, tra solennità e ipocrisie

Eppure, la giornata di ieri aveva anche un altro volto: quello della celebrazione sincera dei 160 anni della Capitaneria di Porto. Una cerimonia solenne, toccante, impreziosita dalla suggestiva cornice del Forte Michelangelo. Presenti le più alte autorità civili e militari, e un momento di autentico riconoscimento per chi, ogni giorno, difende vite umane in mare, spesso tra mille difficoltà e sotto il fuoco di polemiche ideologiche.

Nel suo discorso, Salvini ha ricordato la tragedia di Cutro e difeso l’onore della Guardia Costiera “da chi la infanga”. Giusto. Peccato che la stessa politica che ieri ne ha elogiato la professionalità, sia quella che blocca i porti, lascia vacanti le guide strategiche e antepone le logiche di partito all’interesse del Paese.

Conclusione: mare calmo in superficie, tempesta sotto la linea dell’orizzonte

Mentre risuonavano le fanfare e si tagliavano i nastri del nuovo Centro Storico Culturale delle Capitanerie di Porto, il vero “porto” della politica italiana affondava nella solita palude. Tra incompetenza, guerre intestine e disprezzo per il merito, la blu economy è lasciata alla deriva. Altro che Capitani coraggiosi: qui si naviga a vista, con una zavorra politica che affonda ogni possibilità di riforma seria.

E così, l’Italia dei porti resta ferma alla banchina, mentre le poltrone continuano a viaggiare in prima classe.