ROMA – Un nuovo e inquietante tassello potrebbe aggiungersi al mosaico mai completato del caso Orlandi. Durante i lavori di ristrutturazione all’interno del Padiglione Monaldi dell’ospedale San Camillo, a Roma, sono stati ritrovati resti umani risalenti a diversi decenni fa.
Si tratta di ossa datate, appartenenti con tutta probabilità a una singola persona. Un dettaglio, però, rende questo ritrovamento particolarmente significativo: la vicinanza del padiglione al luogo dove, secondo una delle testimonianze più discusse del caso, sarebbe stata detenuta Emanuela Orlandi.
Emanuela, cittadina vaticana quindicenne, scomparve nel 1983. Da allora, il suo nome è diventato simbolo di uno dei misteri più oscuri della storia recente italiana, in un intreccio di poteri, silenzi, depistaggi e crimini irrisolti.
Il legame con la testimonianza di Sabrina Minardi
A dare nuova linfa alle indagini fu, nel 2008, la testimonianza di Sabrina Minardi, all’epoca amante di Enrico De Pedis, boss della banda della Magliana. La donna raccontò che Emanuela sarebbe stata prigioniera per un periodo in una cantina di via Pignatelli, all’angolo con Largo Ravizza, proprio di fronte al San Camillo. Secondo la Minardi, quel luogo era una delle basi operative del gruppo criminale: un sotterraneo dove sarebbero stati trovati catene fissate al muro e un bagno improvvisato, chiari segni di una lunga detenzione.
La coincidenza con l’attuale ritrovamento nel vicino padiglione Monaldi non può essere ignorata. L’edificio, un tempo destinato alla patologia clinica neuromuscolare, era ancora in funzione fino alla fine degli anni ’80. Fu parzialmente ristrutturato nel 1999, per poi essere abbandonato e lasciato in balia di senzatetto e del degrado. Se all’epoca della scomparsa di Emanuela l’edificio era ancora operativo, non è da escludere che il corpo della ragazza possa essere stato nascosto lì, magari nel vano ascensore o in qualche area poco accessibile, lontano da occhi indiscreti.
Gli accertamenti in corso
I resti rinvenuti sono ora al vaglio degli anatomopatologi forensi incaricati dai Carabinieri. Le analisi, a partire dalla determinazione del sesso e dell’età dello scheletro, saranno seguite da una comparazione genetica con il DNA di Emanuela, già in possesso della Procura.
«Attendiamo i risultati del confronto genetico», ha dichiarato l’avvocata Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi, fratello della ragazza. «Si tratta sicuramente di un’ipotesi suggestiva, anche alla luce della testimonianza della Minardi, che in parte è stata confermata dalle indagini della squadra mobile».
Le incongruenze (e le verità parziali)
Nella sua ricostruzione, la Minardi raccontò anche di uno spostamento di Emanuela a bordo di una Mini, in compagnia nientemeno che di monsignor Paul Marcinkus, all’epoca alla guida dello IOR, la banca vaticana. Un coinvolgimento che, se confermato, riscriverebbe completamente il ruolo del Vaticano nella vicenda.
La testimonianza si conclude con un dettaglio macabro e controverso: secondo la donna, Emanuela sarebbe stata “fatta sparire” su ordine dei vertici della banda e il suo corpo gettato in una betoniera a Torvaianica, insieme a quello di Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito di mafia.
Tuttavia, c’è un nodo temporale che mina la credibilità di questa parte della ricostruzione: Di Matteo fu ucciso nel 1996, ben dieci anni dopo la scomparsa di Emanuela. Un errore temporale che ha portato molti a dubitare dell’intera versione, e a ritenere la Minardi non attendibile.
Ma se avesse solo confuso gli episodi? Se il luogo di smaltimento fosse stato in realtà un altro? E se le ossa trovate oggi nei pressi dell’ospedale San Camillo fossero davvero quelle di Emanuela?
Una nuova possibilità per la verità
Il caso Orlandi ha attraversato oltre quattro decenni, rimanendo uno dei misteri più fitti e discussi d’Italia. Il ritrovamento di questi resti potrebbe rappresentare un punto di svolta. Ma sarà necessario attendere i risultati degli esami forensi per capire se siamo davvero di fronte a una svolta storica o all’ennesimo falso allarme.
Nel frattempo, la famiglia Orlandi — e con essa l’Italia intera — continua ad aspettare una verità che tarda ad arrivare, ma che non è mai stata così vicina come ora.