VITERBO – Lunga analisi di Roberto Saviano su Viterbo e sulla presenza della mafia turca nella città. Lo scrittore collega gli ultimi arresti al boss Baris Boyun.
Il 3 settembre, giorno del Trasporto della Macchina di Santa Rosa, due cittadini turchi di 22 e 25 anni sono stati scovati in un B&B di via Santa Rosa trovati in possesso di una mitragliatrice, di una pistola e di alcuni caricatori pieni di munizioni. Un terzo uomo, forse, sarebbe riuscito a fuggire.
“Poco prima della festa di Santa Rosa a Viterbo – ha detto Saviano – due cittadini turchi sono stati arrestati in un b&b con mitraglietta, pistola e munizioni. I giornali parlano di attentato sventato: secondo gli inquirenti avrebbero potuto colpire durante l’evento. Ma cosa è successo davvero? Tenetevi forte perché è una storia incredibile”.
In un primo momento l’ipotesi prevalente è stata quella di un possibile attentato contro la folla o le autorità presenti alla festa patronale. Ma Saviano avanza una lettura differente: “Gli arrestati del 3 settembre nel B&B con mitragliatrice erano lì per sparare sui politici che dovevano partecipare all’evento a Viterbo? Poco probabile. La pista più verosimile è che fossero lì per provare a far evadere Boyun, detenuto nel carcere di Mammagialla. Avrebbero potuto sequestrare un politico e richiedere una negoziazione. Avrebbero fatto un attentato per poi chiederne la liberazione. Erano lì armi in pugno”.
Il nome di Baris Boyun ricorre più volte nel racconto di Roberto Saviano. Arrestato a Viterbo nel maggio 2024, è considerato uno dei boss più potenti al mondo e guida della Daltonlar Cetesy, la cosiddetta “gang dei Dalton”. Saviano lo descrive come il protagonista assoluto: “Baris Boyun è capo della Daltonlar Cetesy, un gruppo della mafia turca diventato potentissimo proprio per la strategia e per l’abilità, di connessione, di violenza e di visione di Boyun”.
Non solo. Saviano ricorda anche l’arresto a Viterbo, il 26 agosto scorso, di Ismail Atiz, “una delle figure più importanti per il riciclaggio di armi”. Lo scrittore si sofferma poi sulla struttura organizzativa: “Boyun la sua struttura mafiosa non la vuole rigida, non vuole gerarchie rigide, rifiuta la classica struttura piramidale che la mafia turca prende tra l’altro dall’italiana. Di fatto è lui il capo, ma è come se fosse più una figura carismatica. Di volta in volta chi ha delle responsabilità operative assume un ruolo da leader, con molta autonomia”.
Un’organizzazione giovane, che recluta già a partire dai 15 anni e che fa dei social uno strumento fondamentale di comunicazione e affermazione.
“Le organizzazioni criminali devono occupare lo spazio social. Attenti: non esisti se non sei sui social. Comunicano, reclutano, perfino rivendicano omicidi attraverso i social network”, spiega Saviano.
Il racconto tocca anche la lunga faida con i Sarallar, clan rivale della mafia turca, e il ruolo internazionale della gang, dal narcotraffico all’immigrazione clandestina. Ma il punto centrale resta la scelta di Viterbo come snodo operativo: “È incredibile che pur sapendo che c’è questa cellula della mafia turca a Viterbo abbiano messo proprio a Viterbo, nel carcere di Viterbo intendo, Boyun. E da qui questa gigantesca storia che pochi vi racconteranno”.
Va ribadito che oggi Boyun non si trova più a Viterbo. La denuncia di Saviano, però, allontana l’ombra della criminalità internazionale dal cuore della festa di Santa Rosa, simbolo della città, per concentrarla invece sulla realtà di una presenza mafiosa radicata. E il suo monito finale è netto: “Viterbo capitale italiana della mafia turca”.