Viterbo – Dopo 30 anni A.D. Grafica lascia il centro storico: “Una ferita al cuore, costretti ad andarcene”

Un’altra serranda pronta per abbassarsi nel cuore della città: logistica impossibile, parcheggi inesistenti e accuse all’amministrazione. “Abbiamo pianto davanti alla scelta: qui avevamo costruito una comunità”.

Viterbo – Il centro storico del capoluogo della Tuscia continua a chiedere aiuto. Sempre più attività, storiche, continuano a trasferirsi o addirittura a chiudere i battenti a causa di problematiche annose, tra parcheggi insufficienti, mobilità non-sostenibile, difficoltà logistiche sempre più profonde e crisi economica (nazionale) che avanza. Ci siamo recati a fare due chiacchiere con Antonio Di Stefano, titolare di A.D. Grafica insieme al socio Andrea D’Isernia, centro di stampa digitale che da poco ha compiuto 30 anni di vita nel cuore del centro storico ma che, ora, ha preso la sofferta decisione di “migrare” fuori dalle mura. Una scelta che, tuttavia, non avviene per cali di fatturato ma per i futuri problemi logistici che arriveranno con l’approvazione del PUMS voluto dall’attuale amministrazione.

Antonio, dopo trent’anni avete deciso di lasciare il centro. Una scelta che immagino non sia stata semplice.

«Assolutamente no. È stata la decisione più sofferta della mia vita professionale. Per tre decenni abbiamo tenuto aperta la serranda ogni mattina, costruendo rapporti umani prima ancora che lavorativi. Qui ci conoscevamo tutti, i clienti erano amici, parte di una grande famiglia. Lasciare il centro sarà come lasciare un pezzo di cuore: non è solo un cambio di sede, è un distacco che fa male.»

Quali sono stati i motivi principali che vi hanno spinto a questa decisione?

«La situazione, ormai, era diventata insostenibile. Il problema dei parcheggi è cronico: chi deve venire in negozio spesso rinuncia perché non trova posto. Le difficoltà logistiche per caricare e scaricare sono enormi, e ogni giorno ci toccava fare i conti con regole e restrizioni che sembrano fatte senza tenere in considerazione chi lavora davvero in centro. A tutto questo si aggiunge la crisi economica generale, che rende ogni spostamento del cliente più complicato. Abbiamo resistito finché abbiamo potuto, ma adesso era impossibile continuare.»

Come hanno reagito i vostri clienti e i residenti del quartiere quando hanno saputo della decisione di trasferirvi?

«Con grande dispiacere. Molti sono venuti a salutarci, a ringraziarci, a dirci che ci sentivano parte della loro quotidianità. Alcuni mi hanno detto che si sentiranno più soli, perché non troveranno più la serranda aperta sotto casa. Questo dimostra che una bottega storica non è solo un esercizio commerciale: è parte viva di una comunità.»

Lei parla di una città che non sostiene le sue attività. Cosa intende?

«Intendo che, da anni, le istituzioni non ascoltano la voce dei commercianti. Ci sentiamo abbandonati. E non lo dico con leggerezza: se guardiamo i numeri, quante attività hanno già chiuso o si sono trasferite? Ogni volta che qualcuno di noi prova a chiedere soluzioni concrete, troviamo muri di gomma. Chi governa, e mi riferisco all’amministrazione Frontini, ha scelto una linea che penalizza chi qui ci lavora e ci investe. Non bastano le parole, servono fatti, e purtroppo non ne vediamo.»

Eppure, in passato erano state fatte delle proposte che erano piaciute a voi commercianti. Quali?

«Al tempo dell’amministrazione Michelini, con l’assessore Saraconi, si era pensato all’interramento della ferrovia che taglia in due la città e che potrebbe liberare spazio e dare respiro a una viabilità nuova. Penso anche a un piano serio di parcheggi di scambio ben collegati al centro, a incentivi veri per chi decide di investire dentro le mura. Sono progetti di visione, certo, ma senza una visione non si va da nessuna parte. Il problema è che queste proposte restano sempre lettera morta, chiuse nei cassetti.»

A.D. Grafica ha compiuto da poco 30 anni. In che modo è cambiato il vostro lavoro in tutto questo tempo?

«È cambiato tantissimo. Quando abbiamo iniziato si parlava ancora di fotocopie, di ciclostile, di stampa tradizionale. Oggi siamo diventati un centro stampa digitale più completo: grafica, stampe fine art, personalizzazioni di gadgets di ogni tipo, stampe su tessuti, servizi di stampa di ogni genere per convegni, per le aziende della provincia e anche fuori della nostra regione. Ci siamo adattati all’evoluzione del mercato e alle esigenze dei clienti, sempre cercando di restare un punto di riferimento, cercando di fornire ogni tipo di servizio di stampa e renderlo fruibile per le tasche di chiunque. Ed è anche per questo che ci dispiace così tanto lasciare il centro: qui abbiamo scritto la nostra storia e quella di tanti altri.»

Cosa chiederebbe, oggi, a chi amministra Viterbo?

«Prima di tutto ascolto. E poi azioni concrete: parcheggi, viabilità, agevolazioni per chi sceglie di investire nel centro. Non possiamo pensare che il cuore della città si svuoti in silenzio. Ogni bottega che chiude è un pezzo di identità che si perde. E quando ci si renderà conto del danno sarà troppo tardi.»

C’è molta amarezza nelle sue parole. È stato davvero così doloroso decidere di andare via?

«Dolorosissimo. Non le nascondo che, mentre parlavamo, mi è scesa una lacrima. In trent’anni abbiamo condiviso tanto con questa comunità: feste, ricorrenze, anche momenti di difficoltà. Abbiamo visto crescere generazioni di ragazzi che poi sono tornati con i loro figli. Tutto questo non si cancella, resta dentro. Per questo dico che non è solo la fine di un capitolo lavorativo, ma la fine di un pezzo di vita.»

E adesso che futuro vede per A.D. Grafica e per il centro storico?

«Per noi c’è una nuova sfida: ripartire fuori dalle mura, continuare a crescere senza perdere lo spirito che ci ha sempre contraddistinto. Ci sposteremo il prossimo anno, ma non abbiamo rinunciato a essere un punto di riferimento per i nostri clienti. Quanto al centro, spero che chi governa apra finalmente gli occhi: non può vivere di rendita sulla sua bellezza, deve tornare ad essere un luogo vitale, fatto di persone, di botteghe, di storie. Se non si cambia rotta, rischiamo di trovarci con un centro storico vuoto, e allora sarà troppo tardi per piangere lacrime che non servono più.»