Il trentenne, inizialmente posto ai domiciliari e poi trasferito in carcere, è stato condannato con rito abbreviato a tre anni di reclusione
GROSSETO – Un carabiniere si è trovato costretto a denunciare il proprio figlio dopo averlo riconosciuto nelle immagini di una rapina. Il militare, frequentatore abituale del bar dove era avvenuto il colpo, aveva chiesto di visionare le registrazioni della videosorveglianza e, purtroppo, aveva identificato il giovane dai vestiti, dai movimenti e dalle parole pronunciate. Non ha esitato: si è presentato in caserma per riferire quanto visto.
Dalla successiva perquisizione domiciliare i colleghi hanno trovato la pistola giocattolo – priva del tappo rosso – compatibile con quella usata per la rapina e per un altro tentativo di aggressione avvenuto poco prima in strada ai danni di un grossetano.
Il trentenne, inizialmente posto ai domiciliari e poi trasferito in carcere, è stato condannato con rito abbreviato a tre anni di reclusione, 1.200 euro di multa e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. La sentenza rispecchia la richiesta avanzata dal pubblico ministero Valeria Lazzarini. In aula l’uomo era presente insieme alla sua difensora, l’avvocata Caterina Biafora.
Gli episodi contestati risalgono all’alba del 9 novembre scorso. Intorno alle 5, in via dei Mille, un automobilista era stato minacciato da un uomo vestito di scuro che brandiva un’arma. Alla risposta della vittima – «non ho soldi» – era seguito un colpo con il calcio della pistola e la minaccia di morte. Il rapinatore, disturbato da qualcosa, era poi fuggito. Solo dopo si è scoperto che si trattava di una pistola ad aria compressa modificata.
Poco più tardi lo stesso uomo era entrato nell’Hollywood Cafè di piazza della Libertà, dove aveva intimato alla titolare e a un cliente di consegnare il denaro. La donna non aveva nulla in cassa a quell’ora, così il malvivente si era accontentato di circa 40 euro presi dal portafoglio del cliente, per poi dileguarsi verso via Mascagni.
La stessa titolare, Antonella Giannì, aveva raccontato a Il Tirreno la paura di quei momenti: «Non mi ha puntato l’arma addosso, ma l’aveva ben stretta in mano. Io ero terrorizzata».
Il padre-carabiniere, dopo aver visionato più volte le registrazioni ricevute sul cellulare, aveva deciso di mettere per iscritto tutto ciò che sapeva. La perquisizione successiva e la confessione del giovane, che ha ammesso di aver agito in stato di alterazione legato alla tossicodipendenza, hanno chiuso il cerchio investigativo.
Il trentenne era poi finito nuovamente in carcere a febbraio, dopo aver violato i domiciliari e aver compiuto una rapina in un supermercato, questa volta arrestato in flagranza.
La titolare del bar, ancora scossa, aveva voluto ringraziare pubblicamente i carabinieri per la professionalità e la vicinanza dimostrata: «Venivano spesso a trovarmi per sapere come stessi. Mi hanno dato un grande conforto».