FROSINONE – Nuova condanna per Claudio Marini, 53 anni, originario di Frosinone, accusato di violenza sessuale ai danni di giovani donne adescate con la promessa di una carriera nel cinema. Ieri, il Tribunale di Roma ha inflitto a Marini una condanna in primo grado a sei anni e sei mesi di reclusione per gli abusi commessi nel 2019 ai danni di una ventenne di Viterbo.
Questa sentenza si aggiunge alla prima condanna di 11 anni e 9 mesi ricevuta nel dicembre 2023 per accuse simili, consolidando il quadro di un modus operandi predatorio che ha colpito decine di aspiranti attrici.
Claudio Marini, che si presentava anche con lo pseudonimo di “Alex Bell” o come produttore e regista di fantomatiche pellicole dai titoli altisonanti come “Miele Amaro” o “La forza dell’amore”, utilizzava un meccanismo di adescamento seriale.
Il caso che ha portato alla condanna di ieri risale al dicembre 2019. La vittima, una giovane donna che sognava il grande schermo, rispose a un annuncio di casting online. Dopo un primo colloquio in un ufficio vicino a Roma Termini, Marini fissò un secondo incontro in un fast food vicino al Vaticano.
In quella occasione, Marini avrebbe convinto la ragazza a salire in auto con lui per raggiungere un appartamento che, a suo dire, avrebbe utilizzato come ufficio. Una volta arrivati, durante l’audizione il 53enne avrebbe proposto alla candidata di provare insieme alcune scene che avrebbero fatto parte della sceneggiatura del film. Con questo pretesto, secondo l’accusa, l’uomo l’avrebbe baciata, per poi metterle le mani addosso.
La giovane vittima, assistita dall’avvocato Luigi Mancini del Foro di Viterbo, si è costituita parte civile e la sua denuncia ha dato il via alle indagini che hanno portato all’arresto di Marini nell’agosto 2021.
L’imputato era già stato oggetto di un precedente processo per fatti analoghi, culminato nella condanna di 11 anni e 9 mesi nel dicembre 2023. In quel caso, le denunce provenivano da dodici donne, molte delle quali avevano trovato il coraggio di raccontare gli abusi anche sui social media, dando voce a quello che è stato definito dalle avvocate di parte civile di “Differenza Donna” come l’inizio di un “Me Too italiano”.