Morto Giovanni Cucchi, padre di Stefano e Ilaria, la lettera del figlio sul treno per Tarquinia

Non smise mai di lottare per la verità sulla morte del figlio

ROMA – È morto a 77 anni Giovanni Cucchi, padre di Stefano e Ilaria Cucchi. Era malato da tempo e le sue condizioni si erano aggravate dopo la scomparsa della moglie, Rita Calore, avvenuta tre anni fa. La notizia della sua morte è stata data via Instagram da Fabio Anselmo, avvocato di famiglia e compagno della senatrice Ilaria Cucchi.
“Con la tua voce hai dato voce a tuo figlio. Grazie per la tua forza“, ha scritto Anselmo, ricordando l’impegno e la dignità con cui Giovanni aveva affrontato la lunga battaglia per la verità sulla morte di Stefano, deceduto nel 2009 dopo essere stato pestato dai carabinieri durante la custodia cautelare.

Nel suo messaggio, l’avvocato ha rievocato anni di sofferenza e mistificazioni, sottolineando come più volte il padre di Stefano fosse stato ingiustamente accusato di disinteresse verso il figlio: “Molti – troppi – hanno scritto e detto che a Giovanni non fregava nulla di suo figlio, che lo avesse abbandonato, che Stefano fosse solo”.

Il messaggio completo e le parole di Stefano al padre.

“Ci sono parole che non si dimenticano, che restano incise anche quando le voci che le hanno pronunciate si spengono.
Da oggi purtroppo Giovanni Cucchi, padre di Stefano, non c’è più.
Molti – troppi – hanno scritto e detto che a Giovanni non fregava nulla di suo figlio, che lo avesse abbandonato, che Stefano fosse solo.
Lo hanno fatto per anni, per giustificare l’ingiustificabile, per infangare una famiglia già distrutta dal dolore.
Eppure, quella verità costruita a tavolino è crollata davanti a un’aula di tribunale, quando Giovanni ha letto la lettera che Stefano gli aveva scritto due anni prima di morire.
Era il 26 agosto 2006.
Stefano scriveva da un treno per Tarquinia, dove stava andando a festeggiare il compleanno del padre:
“Caro papà,
ti sto scrivendo sul treno, quel treno che tante volte ho preso per la disperazione e non mi portava mai a destinazione.
Beh, adesso questo treno mi porta da te, forse la persona più importante della mia vita.”
E ancora:
“Dopo tante battaglie e scontri, finalmente ci siamo ritrovati,
io con una nuova e inaspettata voglia di vivere e di fare grandi cose,
come neanche immaginavo mesi fa.
Tu che sei così grande, un costante punto di riferimento,
un uomo che forse non ha mai smesso di credere in me,
forse l’unico.”
“Un padre che amo, che ha sofferto,
e che io ora non voglio più che stia male.”
“Capisci?
La vita comincia ora.
La nostra.”
Giovanni, mentre leggeva davanti alla Corte quelle righe, tremava.
La voce si spezzava, ma non si fermava.
In quell’aula si è sentito il silenzio pesante di chi, per anni, ha accusato quella famiglia di menefreghismo, di vergogna, di ipocrisia.
Quelle parole – semplici, umane, limpide – hanno distrutto anni di odio, menzogne e depistaggi.
A chi ha scritto che Giovanni “non c’era”, a chi ha detto che “se lo meritava”, a chi ancora oggi commenta senza sapere:
leggete questa lettera.
È la voce di un figlio che amava suo padre.
Di un ragazzo che voleva vivere, non morire in una cella.
Di una famiglia che non ha mai smesso di esserci.
Giovanni, con la tua voce hai dato voce a tuo figlio.
Grazie per la tua forza”.