Civitavecchia e Tarquinia in crisi per colpa del Pd e di sindaci non all’altezza

CIVITAVECCHIA- Nel litorale nord di Roma si respira un’aria tesa all’interno del centrosinistra, dove i due comuni simbolo — Marco Piendibene a Civitavecchia e Francesco Sposetti a Tarquinia — si trovano al centro di una vera e propria crisi di maggioranza.

A Civitavecchia, la vicenda dell’incarico da quasi 150 mila euro all’architetto Claudio Giustini ha fatto emergere contrasti interni alla coalizione: il Partito Democratico locale ha denunciato carenza di trasparenza nelle modalità di affidamento, generando malumori anche fra alleati e dirigenti.

Le fratture diventano ancor più visibili in vista del congresso cittadino del PD, descritto come “infuocato” da chi segue da vicino la vicenda politica della città.

A Tarquinia, la situazione è altrettanto delicata: con la revoca delle deleghe all’assessora Monica Calzolari, espressione della lista Alleanza Verdi e Sinistra (AVS), si è aperta una spaccatura ufficiale all’interno della maggioranza guidata dal sindaco Sposetti. AVS ha denunciato una decisione “ingiustificata nel merito e politicamente miope nel metodo”.

Il messaggio è chiaro: la maggioranza non è più coesa come all’inizio, e si profilano scenari di alleanze alternative o rimpasti in vista.

Entrambe le crisi sottolineano una difficoltà comune: mantenere coesa una coalizione di centrosinistra che si era presentata con grandi ambizioni di rinnovamento e partecipazione.

A Civitavecchia, il Sindaco è finito sotto pressione anche da parte del suo partito, e ha reagito attaccando la stampa.

A Tarquinia, invece, l’amministrazione rischia di prendere una piega di “minoranza governante” se non si troverà presto un nuovo equilibrio. Una maggioranza in mano a suocera e moglie del sindaco Sposetti che politicamente non è in grado neanche di allacciarsi le scarpe o di scrivere una nota stampa meno forbita da farlo passare impreparato anche dal punto di vista grammaticale.

La posta in gioco è alta: la gestione dei comuni del litorale — con le sfide legate al porto, allo sviluppo turistico, all’energia — richiede stabilità amministrativa, e la percezione di instabilità rischia di erodere la fiducia dei cittadini. Se queste tensioni non verranno risolte in tempi brevi, il PD e la sua coalizione locale potrebbero uscire indeboliti, anche in vista delle prossime tornate elettorali regionali e comunali.

Nel quadro politico che si sta delineando sul litorale nord di Roma, le difficoltà dei sindaci Marco Piendibene a Civitavecchia e Francesco Sposetti a Tarquinia non rappresentano solo episodi isolati di crisi amministrativa, ma sintomi di un problema più profondo: non tutti coloro che vengono eletti sono realmente pronti ad affrontare il compito che li attende.

La carica di sindaco, soprattutto in realtà complesse come quelle del litorale laziale, richiede una combinazione rara di competenze tecniche, sensibilità politica e capacità di mediazione. Spesso, però, la selezione dei candidati — frutto di equilibri di partito, compromessi interni o strategie elettorali — privilegia la rappresentanza e la visibilità, più che l’esperienza amministrativa. Così, una volta eletti, molti primi cittadini si ritrovano a gestire apparati burocratici imponenti, conti pubblici rigidi e coalizioni eterogenee, senza avere strumenti concreti per mantenere l’unità e l’efficienza dell’azione di governo.

Nel caso di Piendibene, ad esempio, il PD aveva puntato su un volto nuovo (si fa per dire), un simbolo di rinnovamento dopo anni di conflitti e commissariamenti. Ma oggi il suo nome è associato più a tensioni interne e nomine contestate che a risultati amministrativi concreti. Lo stesso schema si ripete a Tarquinia con Sposetti: una vittoria costruita sull’unità di una coalizione ampia, che però si è dissolta al primo serio banco di prova politico. È la dimostrazione che governare è molto più difficile che vincere le elezioni, e che la popolarità iniziale non basta a reggere la prova quotidiana della responsabilità.

Spesso, infatti, il sindaco eletto si trova stretto tra due fuochi: da una parte i partiti e le liste che lo sostengono, ognuna con i propri interessi e le proprie aspettative; dall’altra la cittadinanza, che pretende risposte immediate e tangibili. Chi non ha un’autentica capacità di leadership, chi non sa costruire visioni condivise e prendere decisioni impopolari ma necessarie, finisce rapidamente travolto da compromessi, pressioni e accuse incrociate.

A questo si aggiunge un altro elemento: la politica locale è diventata un terreno di sperimentazione per carriere o ambizioni personali, più che un luogo di dedizione al bene comune. Molti candidati, anche con buone intenzioni, non comprendono fino in fondo la complessità del ruolo, l’impatto delle scelte amministrative e il peso delle responsabilità giuridiche.

Un sindaco non è solo un rappresentante politico: è un amministratore pubblico, un datore di lavoro per centinaia di dipendenti, un interlocutore istituzionale, un garante della legalità. Senza un’esperienza solida e un gruppo dirigente competente, il rischio di cadere nell’improvvisazione o nel disorientamento è altissimo.

Il risultato è quello che si osserva in questi giorni: giunte che si spaccano, assessori che si dimettono, maggioranze che si sgretolano, fiducia pubblica in calo. La crisi di Civitavecchia e quella di Tarquinia non sono due eccezioni ma due facce dello stesso problema: l’inadeguatezza amministrativa come nuova forma di crisi politica.

Ciò che serve oggi ai territori non sono solo candidati “nuovi” o “presentabili”, ma persone preparate, dotate di visione e capacità di governo. Perché la politica locale non è meno importante di quella nazionale — anzi, ne è la base. Quando un sindaco fallisce, non perde solo lui: perde una comunità intera, e si allontana un po’ di più la fiducia dei cittadini nella democrazia.