Un recente studio condotto dai ricercatori dell’Università del Nevada, a Las Vegas (UNLV) sta aprendo una strada completamente nuova nel campo dei trattamenti anticonvulsivanti. L’équipe scientifica ha infatti individuato nel carvone, una molecola naturalmente presente nei semi di cumino, aneto e menta verde, il punto di partenza per sviluppare una serie di composti sintetici con proprietà simili al cannabidiolo (CBD), ma completamente privi di THC.
Questa scoperta rappresenta un passo significativo nella ricerca di alternative terapeutiche per le epilessie infantili, patologie che spesso non rispondono ai farmaci tradizionali o provocano numerosi effetti collaterali. Dai test preclinici condotti sugli animali, questi nuovi composti “CBD-like” hanno mostrato una possibile maggiore efficacia rispetto al CBD tradizionale, insieme a un profilo di sicurezza molto promettente.
Perché il carvone potrebbe rivoluzionare la ricerca
Il carvone, già noto in ambito aromatico e fitoterapico, è stato modificato chimicamente per produrre molecole che replicano alcuni meccanismi d’azione del CBD, ma con differenze potenzialmente vantaggiose. Tra i risultati osservati, gli scienziati hanno riportato:
- Prevenzione delle crisi epilettiche
- Riduzione della mortalità associata alle crisi
- Promozione dello sviluppo sano delle cellule cerebrali
- Assenza degli effetti sedativi tipici di molti farmaci anticonvulsivanti
- Totale assenza di THC, quindi senza alcun effetto psicoattivo
Dustin Hines, professore di neuroscienze all’UNLV e coautore dello studio, ha sottolineato come lo sviluppo di un composto privo di THC, derivato da estratti vegetali comuni e modulato chimicamente, potrebbe rappresentare un’opzione terapeutica innovativa e più accessibile rispetto al CBD di origine cannabis.
Le implicazioni regolatorie: un potenziale vantaggio
Uno degli aspetti più interessanti è la possibilità di superare alcune delle barriere normative e commerciali che coinvolgono, da anni, i prodotti derivati dalla cannabis. Utilizzare una pianta comune come il cumino come base per lo sviluppo di un principio attivo significa:
- Standardizzazione più semplice
- Costi di produzione potenzialmente inferiori
- Minore variabilità genetica
- Assenza di controlli stringenti tipici della cannabis
Questi fattori potrebbero rendere più facile l’approvazione regolatoria dei futuri farmaci, a patto che gli studi clinici confermino quanto osservato in laboratorio. È importante ricordare, infatti, che i risultati attuali appartengono alla sfera preclinica, e sarà necessario verificare sicurezza, farmacocinetica, interazioni ed efficacia sugli esseri umani – soprattutto in un contesto delicato come quello pediatrico.
Le difficoltà della traduzione clinica
La trasformazione di un composto promettente da modello animale a terapia approvata per l’uomo è sempre complessa. Nel caso delle epilessie infantili, i ricercatori dovranno porre particolare attenzione a:
- effetti a lungo termine sul cervello in sviluppo
- interazioni con altri anticonvulsivanti
- rischio di tossicità
- dosaggi ottimali
Solo la sperimentazione clinica potrà stabilire se questi composti “CBD-like” rappresenteranno davvero una svolta terapeutica.
Un precedente: il caso del CBD derivato dal luppolo
Questa non è la prima volta che il mondo scientifico esplora alternative alla cannabis per ottenere molecole simili al CBD. Nel 2017, la società Isodiol lanciò ImminAG, un prodotto contenente CBD estratto dal luppolo. L’idea suscitò grande interesse perché avrebbe potuto evitare molte restrizioni normative associate alla cannabis. Tuttavia, le difficoltà tecniche legate all’estrazione e i costi elevati portarono il progetto a un rapido declino. Da allora, l’azienda è tornata a utilizzare CBD di origine canapa.
Il nuovo studio sul carvone mira invece a una strategia diversa: la sintesi di molecole analoghe al CBD, più facili da standardizzare e produrre.
Uno sguardo al futuro
Se gli sviluppi clinici confermeranno le promesse emerse finora, potremmo trovarci di fronte a una nuova classe di farmaci anticonvulsivanti derivati da piante comuni, privi di effetti psicoattivi e potenzialmente più efficaci del CBD stesso. Un percorso ancora lungo, ma con basi scientifiche solide e un enorme potenziale applicativo.
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