BOLSENA – Una statuetta votiva modellata nell’argilla e risalente a circa 3mila anni fa è stata trovata nel lago di Bolsena – in provincia di Viterbo, nel Lazio – , in queste ore. Si tratta di un oggetto di culto, probabilmente domestico, che reca ancora i segni e le impronte delle mani di chi lo modellò. Grazie a questi segni si potrà forse stabilire la grandezza dell’arto di chi ha prodotto la statuetta.
L’idoletto è stato riportato alla luce durante i lavori che si stanno svolgendo nell’ambito del PNRR nel sito protostorico sommerso del Gran Carro, finalizzati alla creazione di un percorso subacqueo.
La figurina fittile femminile è stata trovata nell’area dell’antico abitato, oggi sommerso dalle acque del lago, ma un tempo sorgente dalla riva. Ne dà notizia La Soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio Etruria Meridionale.
“Si tratta di un rinvenimento eccezionale, un unicum al momento da questo importante contesto archeologico che ci sta restituendo aspetti della vita quotidiana della prima età del Ferro (fine X sec. a.C.-primi IX sec. a.C.) ancor poco conosciuti in Etruria meridionale. – dice la Soprintendenza – La figurina appena abbozzata, anche nelle connotazioni femminili, è di impasto poco cotto, e mostra ancora i segni delle impronte digitali di chi l’ha modellata e l’impronta di una trama di tessuto sotto il petto, segno che doveva essere probabilmente “vestita”.”
Essa trova confronti coevi principalmente a corredo di deposizioni funerarie. La minuscola scultura potrebbe rinviare a una divinità ermafrodita, come apparirebbe dalla fotografia a luce radente? Da quanto appare dalle immagini della Soprintendenza, l’oggetto sembra che non sia stato sottoposto a cottura – o il riscaldamento è stato molto limitato – ma parrebbe un piccolo blocco d’argilla scarsamente depurato, prima impugnato e poi compresso nella mano, quindi modellato e lasciato lungamente essiccare – come un mattone di fango – all’aria o forse nei pressi di un fuoco, così da assumere una consistenza notevole. Quand’era ancora bagnata, la statuetta fu avvolta, a livello del torso, con un stoffa che ha lasciato, in negativo, segni della trama sull’argilla fresca.
La consistenza del materiale e la sua colorazione inducono a pensare che l’argilla sia stata probabilmente prelevata nei pressi del lago, forse non lontano del luogo di culto del Grande Carro.
E’ probabile che la decurtazione degli omeri sia avvenuta, nel tempo, per fragilità strutturale, poco sotto il punto di innesto degli arti stessi, nell’area di raccordo che presenta fessurazioni e una materia meno coesa.
Stessa fragilità di coesione tra i diversi strati di materiale è dimostrata dal punto di distacco di uno dei due seni.
E’ probabile che queste parti siano state aggiunte sul torso durante la lavorazione e non siano state ricavate attraverso plasmatura del blocco stesso.
Il suo rinvenimento in area abitativa all’interno di una delle strutture che si stanno mettendo in luce è da considerarsi di tipo votivo, probabilmente da mettere in relazione ad un qualche tipo di rituale domestico, come attestato anche in epoche successive.
Pare evidente l’urgenza con la quale si produsse l’immagine a tutto tondo e si giunse alla sua vestizione, quand’era ancora bagnata. Il fine sembra simbolico-evocativo, a fronte, forse, di una necessità stringente di chi chiese un’intercessione “celeste”, forse impugnando l’oggetto stesso, all’atto della preghiera, quando non era ancora essiccato. “Il ritrovamento è avvenuto da parte del personale del nostro Servizio di Archeologia subacquea – prosegue la Soprintendenza – cui è seguito il recupero e primo intervento conservativo da parte dei restauratori subacquei della CSR Restauro Beni Culturali”.
“Ringraziamo le Forze dell’Ordine in particolare il nucleo Sommozzatori della Guardia di Finanza della Stazione Navale di Civitavecchia e i Carabinieri Subacquei dell’Aliquota di Roma per l’assistenza in acqua durante i lavori”. conclude la Soprintendenza.
(Stilarte)