Pomezia, consiglieri condannati per dichiarazioni false. Ma nessuna dimissione: Paloni e Salvitti restano incollati alla poltrona

POMEZIA (RM) – Due consiglieri comunali di Pomezia, Sandro Paloni (capogruppo di Fratelli d’Italia) e Fabrizio Salvitti (capogruppo della Lega), sono stati ufficialmente condannati per aver mentito all’ufficio elettorale al momento della loro candidatura.
A stabilirlo è il decreto penale di condanna emesso dal Tribunale di Velletri e firmato dalla GIP Silvia Artuso in data 24 marzo 2025.

I fatti parlano chiaro: entrambi sono stati riconosciuti colpevoli del reato di cui all’art. 483 del Codice Penale, ovvero “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”. I due avrebbero depositato presso il Comune di Pomezia delle autocertificazioni in cui attestavano di “non avere carichi pendenti”, quando invece – come dimostrato dagli atti del fascicolo del Pubblico Ministero e dalle indagini della Guardia di Finanza – quei carichi pendenti esistevano eccome. In altre parole, hanno mentito.

La pena? Una multa di 1.125 euro ciascuno, riducibile a 900 euro con pagamento entro 15 giorni. Ma anziché assumersi la responsabilità della condanna, Paloni e Salvitti hanno scelto di presentare opposizione, bloccando così qualsiasi effetto immediato, inclusa la possibile decadenza dall’incarico prevista in caso di dichiarazione mendace.

Una strategia legale perfettamente legittima, certo. Ma politicamente inaccettabile.

Le autocertificazioni non lasciano spazio a dubbi

Nel documento firmato dai due al momento della candidatura, si legge con chiarezza che la dichiarazione di non avere carichi pendenti è vincolante, e che ogni dichiarazione falsa comporta, ai sensi del D.Lgs. 39/2013, l’inconferibilità di qualunque incarico pubblico per un periodo di cinque anni. Si tratta di una norma chiara, introdotta proprio per tutelare la trasparenza e la correttezza nella pubblica amministrazione.

Eppure, i due consiglieri – già condannati dal giudice – non hanno ritenuto necessario dimettersi. Anzi, si sono affrettati a difendere l’indifendibile: Salvitti ha parlato di un “fraintendimento”, mentre Paloni si è appellato a un presunto “qui pro quo” dovuto a una virgola nel testo. Tentativi goffi di ridurre una falsificazione documentale a un banale errore formale.

Una questione di etica pubblica

Il problema, però, va ben oltre il tecnicismo giuridico. È una questione di responsabilità politica e morale. Quando un rappresentante delle istituzioni dichiara il falso per ottenere una carica pubblica, non si tratta di una svista: è un atto grave, che mina la credibilità delle istituzioni e insulta la fiducia dei cittadini.

In qualunque paese con un minimo di cultura democratica, due consiglieri condannati per dichiarazioni mendaci si sarebbero già dimessi. E invece a Pomezia no: qui si resta. Si oppone. Si sfida la decenza con ostinazione. Si dà per scontato che il tempo e la disattenzione dell’opinione pubblica possano risolvere tutto.

Ma la condanna c’è. È chiara, nero su bianco. E porta la firma del Tribunale.

Il silenzio che fa rumore

Il caso Paloni-Salvitti sta diventando una ferita aperta per la città. Invece di dare l’esempio, i due protagonisti di questa vicenda si trincerano dietro le scappatoie legali, dimostrando quanto poco conti, ormai, l’etica nella vita pubblica. Nessun passo indietro, nessun gesto di dignità. Solo silenzi imbarazzanti, frasi di circostanza e l’attaccamento feroce alla poltrona.

La domanda, a questo punto, è inevitabile: che altro deve accadere perché chi sbaglia paghi davvero?

Paloni e Salvitti dovrebbero fare una sola cosa, l’unica rispettabile: rassegnare immediatamente le dimissioni o in alternativa autosospendersi dai rispettivi partiti.