LADISPOLI – Era un pomeriggio di inizio giugno del 2005 quando la vita di Elena Vergari, 48 anni, si dissolse nel nulla. La donna, originaria di Ladispoli, litigò con il marito e uscì di casa senza farvi più ritorno.
Da quel momento di lei non si seppe più nulla. Cinque giorni dopo arrivò un messaggio sul cellulare del figlio: “Sto bene, non cercatemi”. Parole che avrebbero potuto rassicurare, ma il dettaglio inquietante era che l’SMS era partito da una cabina telefonica a pochi metri dall’abitazione di famiglia. Da allora, nessuna voce, nessun segno, nessun corpo. Solo ipotesi, indagini, sospetti.
Ladispoli – Scomparsa Elena Vergari, corpo sepolto vicino la sua casa, secondo una lettera anonima
Il marito fu il primo e principale indagato. Gli inquirenti scavarono nella sua vita, cercarono contraddizioni e moventi, ma non bastò. Dopo anni di indagini, depistaggi e silenzi, nel 2017 il fascicolo venne archiviato. La verità su Elena Vergari sembrava destinata a rimanere sepolta sotto la polvere dei tribunali e nei ricordi di chi l’aveva conosciuta.
Eppure, un tassello dimenticato è tornato oggi a cambiare lo scenario: una lettera anonima. Quel foglio, arrivato anni fa agli inquirenti, conteneva una mappa precisa che indicava un terreno di via Battisti, a ridosso della linea ferroviaria Roma-Civitavecchia, con gallerie e manufatti in cemento. All’epoca nessuno scavò, nessuno verificò davvero. La segnalazione rimase lì, archiviata come suggestione o come pista secondaria

A riaccendere i riflettori è stato un giornalista di “Chi l’ha visto?”, Giuseppe Pizzo, che ha seguito le indicazioni della mappa recandosi proprio in quel luogo. Tra sterpaglie e cemento, a pochi passi dai binari, ha trovato ossa.
Non sappiamo ancora se siano resti umani o animali, ma tanto è bastato per far scattare l’intervento della Polizia. La Procura di Civitavecchia ha ordinato il sequestro dell’area e inviato un medico legale per i primi rilievi.
Se quelle ossa si rivelassero umane, verrebbero sottoposte a esami del DNA e a tecniche di datazione. Solo così sarà possibile capire se appartengono a Elena Vergari o a qualcun altro. Ma intanto, l’eco della scoperta ha riacceso le speranze dei familiari e di quanti, in città, non hanno mai dimenticato quella donna scomparsa in circostanze mai chiarite.
Il fratello Paolo non si è mai arreso. Negli anni ha denunciato omissioni, errori, archiviazioni troppo rapide. È stato lui a rilanciare la lettera anonima e a chiedere con forza che venisse verificata, portando il caso all’attenzione della televisione e della stampa. Ora spera che questo frammento di verità, ritrovato sotto la terra e il cemento, possa finalmente dare una risposta al mistero che dura da vent’anni.
Il “caso Vergari” non è soltanto una storia di cronaca nera. È anche il simbolo di una comunità che ha visto una donna svanire nel nulla e che non ha mai ricevuto una spiegazione. È il racconto di una famiglia che continua a bussare alla porta delle istituzioni in cerca di giustizia. È, infine, un banco di prova per le autorità, chiamate a non sprecare questa nuova occasione di fare chiarezza.

Le ossa ritrovate a Ladispoli potrebbero appartenere a chiunque. Ma se appartenessero a Elena, questo significherebbe non solo la chiusura di un giallo lungo due decenni, ma anche l’inizio di un nuovo capitolo giudiziario, in cui occorrerà ricostruire responsabilità e colpe. Perché una donna non può sparire nel nulla e lasciare dietro di sé soltanto silenzi e sospetti.
Oggi il quartiere di via Battisti osserva in silenzio il via vai di investigatori e periti. La terra potrebbe custodire ancora la verità. E forse, a vent’anni di distanza, Elena Vergari è pronta a raccontarla.