Porti, via libera alle nomine: la politica ormeggia la competenza

ROMA — La Commissione Ambiente del Senato ha approvato le proposte di nomina per otto Presidenze delle Autorità di Sistema Portuale.

Con questo passaggio, l’iter istituzionale è considerato concluso: manca solo la firma dei decreti da parte del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, già attesa entro la settimana.

Chi sono gli otto presidenti

  • Giovanni Gugliotti (AdSP Mar Ionio)
  • Francesco Benevolo (AdSP Mare Adriatico centro-settentrionale)
  • Davide Gariglio (AdSP Mar Tirreno settentrionale)
  • Raffaele Latrofa (AdSP Mar Tirreno centro-settentrionale)
  • Eliseo Cuccaro (AdSP Mar Tirreno centrale)
  • Matteo Gasparato (AdSP Mare Adriatico settentrionale)
  • Paolo Piacenza (AdSP Mari Tirreno meridionale e Ionio)
  • Domenico Bagalà (AdSP Mar di Sardegna)

I mandati, una volta firmati i decreti, scadranno nel 2029.

Il via libera del Senato segue i pareri espressi in precedenza dalla Commissione Trasporti della Camera su diversi nominativi. L’ultimo tassello è dunque amministrativo: la firma ministeriale che trasforma gli attuali commissari straordinari in presidenti a pieno titolo.

Cosa succede adesso

Dopo i decreti, Regioni, Città Metropolitane e Comuni dovranno indicare i loro rappresentanti nel Comitato di Gestione di ciascuna Autorità; a seguire, si aprirà il capitolo decisivo dei segretari generali (anche qui ci sarà da ridere), su cui il Governo punta a irrigidire criteri e catena di comando con la riforma in arrivo.

La critica: quando la livrea di partito vale più della rotta

Quella chiusa ieri è, per molti operatori, una pagina amara della governance portuale. Non per i nomi in sé, ma per il metodo: una maratona di mesi, lottizzata nelle segreterie, che ha lasciato gli scali commissariati e un settore strategico “a vista”, mentre i concorrenti europei corrono.

Politica 1 – Professione 0. Le audizioni parlamentari e le cronache locali hanno reso plastica la frattura: al banco non sempre sono arrivate biografie con solida esperienza portuale o logistico-marittima; su alcune designazioni si sono addensate contestazioni sui requisiti e perfino l’ipotesi di ricorsi. Non è un processo alle persone: è la denuncia di un criterio di selezione piegato al bilancino delle alleanze.

La politica ha spinto sull’acceleratore solo quando l’impasse è diventata imbarazzante, con annunci muscolari e firme “a strappi”. Il risultato? Un messaggio pericoloso: l’appartenenza batte la competenza. È il contrario di ciò che serve a porti che gestiscono miliardi di traffici, corridoi TEN-T, dragaggi, concessioni, retroporti energetici.

La riforma come foglia di fico?

Il Governo promette una riforma dei porti per “rendere uguali le regole per tutti”, centralizzare snodi chiave (anche con l’ipotesi di una società pubblica nazionale per opere e concessioni) e blindare la scelta dei segretari generali. Obiettivi condivisibili, ma rischiano di apparire foglia di fico se prima non si afferma un principio semplice: ai vertici si arriva per merito, curriculum e risultati. Altrimenti la riforma diventa l’ennesimo trasferimento di potere, non di responsabilità.

Perché questa partita conta (davvero)

  • Competitività nazionale: ritardi decisionali e governance precarie costano traffici e investimenti; gli operatori lo ripetono da mesi.
  • Legalità e concessioni: senza leadership autorevole, i dossier su gare, piani regolatori portuali, terminalistica ed energia restano al palo.
  • Reputazione: se la percezione diventa che “conta la tessera”, la fuga dei migliori verso altri cluster logistici è questione di tempo.

Questa non è una “normale” alternanza: è occupazione delle banchine. È l’idea che ai porti serva un presidente “di fiducia” più che un manager del mare. Che basti la patente nautica o l’esperienza in tutt’altri cantieri (ristruttura uno stadio ad esempio) per guidare strutture complesse come un’AdSP. È una cultura di governo poltronara, che mira a sopravvivere al prossimo voto più che a far vincere il Paese sulla rotta mediterranea.

Se la riforma del vice ministro Edoardo Rixi ridisegnerà davvero poteri e controlli, lo vedremo presto. Ma il danno di questi mesi resta: il merito è stato umiliato. Per rimediare, servono impegni verificabili: bandi trasparenti, griglie pubbliche di valutazione dei curricula, obiettivi annuali misurabili e decadenza automatica in caso di mancato raggiungimento. Tutto il resto è vernice di partito su moli arrugginiti.

Gli otto nomi adesso sono sul nastro di partenza e il MIT sta per farli scattare. Ma il cronometro, quello che conta, è sulla credibilità. Senza una scelta di campo netta — competenze prima della casacca — i porti italiani continueranno a perdere la regata che decide crescita, lavoro e sicurezza energetica del Paese.