A Monterosi la tensione è altissima. Delicata e inquietante la vicenda che vede protagonista il giornalista Nicolae Galea (direttore della testata locale Monterosi24) – oggetto di manifesti apparsi dapprima in aprile e poi il 28 ottobre, affissi in vari spazi pubblici, che lo accusano di “informazione diffamatoria”, recando il logo comunale del municipio.
La vicenda ha origine nel febbraio scorso, quando Galea ha pubblicato una serie di inchieste che mettevano in luce presunte irregolarità nell’assegnazione di borse lavoro da parte del Comune di Monterosi: secondo gli articoli sarebbero state assegnate «in violazione del regolamento comunale» e “ad alcuni membri della giunta o ai loro parenti”.
Nei mesi successivi, l’indagine del giornalista è tornata alla ribalta dopo che un avvocato bresciano ha presentato esposto anche sulla gestione dei campi da padel comunali.
A fronte di queste inchieste, la reazione dell’amministrazione comunale guidata da Sandro Giglietti è stata più che una replica: la scelta di utilizzare strumenti pubblici — manifesti recanti lo stemma comunale e affissi in luoghi istituzionali — per attaccare direttamente il giornalista, senza neppure entrare nel merito delle accuse. L’amministrazione infatti non ha risposto pubblicamente alle inchieste ma ha preferito concentrarsi su un “diniego all’accesso agli atti” su un tema secondario, spostando il dibattito sulla presunta illegittimità della richiesta del cronista.
Intervenuta la Prefettura di Viterbo, con un richiamo formale inviato al sindaco tramite PEC: nell’atto la Prefettura invitava a «valutare la rimozione dei manifesti e dei post pubblicati sui canali social e sul sito istituzionale», precisando che non avrebbe coperto eventuali contenziosi legali collegati. La puntualizzazione era netta: distinzione tra comunicazione istituzionale, dibattito politico e libertà di stampa.
E tuttavia, nonostante il richiamo ufficiale, i manifesti restano affissi dopo diversi giorni — alcuni solo parzialmente coperti da nuove affissioni — e le stesse grafiche continuano a campeggiare sui social del Comune.
Perché la vicenda è grave (e cosa non torna)
- Il fatto che strumenti con simboli istituzionali – affissioni e social comunali – vengano utilizzati per attaccare direttamente un giornalista, e non per informare o comunicare atti dell’ente, entra in una zona grigia tra comunicazione istituzionale e propaganda politica, oltre che essere un potenziale attacco alla libertà di stampa.
- Le affissioni rispondono non a una legittima replica a un contenuto giornalistico, ma a una reazione dell’Amministrazione che non affronta le contestazioni (borse lavoro, campi da padel) bensì individua nell’inchiesta un nemico. Si tratta di un comportamento che, secondo fonti parlamentari, potrebbe tradursi anche in responsabilità amministrativa: uso improprio di risorse pubbliche, simboli istituzionali, stemma comunale.
- Il richiamo della Prefettura avrebbe dovuto segnare una linea di demarcazione, ma la mancata ottemperanza da parte del Comune – se confermata – mette in luce l’inefficacia degli organi di controllo locali a garantire rispetto delle norme sul buon andamento amministrativo e sulla tutela del giornalismo.
- Il silenzio dell’amministrazione sui fatti contestati (oltre che l’ostacolo all’accesso agli atti) alimenta l’impressione che l’attacco al cronista sia una reazione a una inchiesta scomoda, e non una semplice controversia sulla modalità d’inchiesta.
La consigliera regionale del Lazio, Marietta Tidei (capogruppo di Italia Viva), ha formalmente annunciato che chiederà alla Prefettura ulteriori verifiche sulla vicenda, sottolineando che «la libertà di stampa è un principio costituzionale e un pilastro della nostra democrazia: non può essere ostacolata da chi ricopre ruoli pubblici».
Inoltre, in Parlamento è stata presentata interrogazione che solleva dubbi sull’uso delle risorse pubbliche e la legittimità dell’azione comunale.
Restano molte domande senza risposta: quali risorse sono state utilizzate per quei manifesti? Il Comune fornirà rendicontazione dell’affissione? Il diniego all’accesso agli atti è stato esercitato in modo conforme al diritto? E soprattutto, l’azione del giornalista ha ricevuto risposte chiare alle sue inchieste? Ad oggi, sembra prevalere il silenzio – e con esso, il sospetto che la comunicazione istituzionale sia stata piegata a scopi di delegittimazione personale.

