300mila euro in nero al Pd Lazio: la nuova accusa a Mirko Pellegrini, il “mister asfalto” delle strade romane

Un fiume di contanti attraverso consegne periodiche dell’imprenditore al senatore Bruno Astorre 

ROMA – La procura di Roma punta i riflettori sul cuore del sistema di imprese che per anni ha dominato il settore degli appalti stradali nella Capitale.

Al centro dell’inchiesta c’è l’imprenditore Mirko Pellegrini, soprannominato “mister asfalto”, ora indagato per un capitolo particolarmente delicato: finanziamento illecito al Partito Democratico del Lazio.

Secondo quanto ricostruito dai magistrati, almeno 300mila euro in contanti sarebbero stati consegnati, in modo irregolare, all’allora segretario regionale del Pd, il senatore Bruno Astorre, morto suicida nel marzo del 2023 a Palazzo Cenci.

Non ci sarebbe alcun legame tra l’accusa e la morte del parlamentare, specifica la procura, ma la ricostruzione dei flussi di denaro getta comunque nuova luce sulle dinamiche politico–imprenditoriali dell’epoca.

Il flusso di denaro e il ruolo di Astorre

L’indagine tratteggia un sistema complesso. Le società riconducibili a Pellegrini avrebbero movimentato ingenti somme attraverso spostamenti interni, pagamenti fittizi e consulenze create ad arte, privi di riscontri reali. Da questo circuito parallelo, sostengono il pm Lorenzo Del Giudice e il Nucleo Pef della Guardia di Finanza, sarebbe uscita una parte dei soldi destinati al Pd Lazio.

Le consegne sarebbero avvenute periodicamente, sempre in contanti, in luoghi diversi tra Roma e Frascati. Nei documenti Astorre viene indicato come destinatario delle somme “indirizzate al Partito democratico del Lazio”, e mai dichiarate come contributi ufficiali.

Un’ombra pesante, che tuttavia non si interseca con la tragedia personale del senatore: Astorre si tolse la vita il 3 marzo 2023 gettandosi da una finestra del Senato, mentre le prime perquisizioni a carico di Pellegrini risalgono a molti mesi dopo, novembre 2024.

Non solo soldi alla politica: corruzione e appalti stradali

Il presunto finanziamento illecito è solo uno dei tasselli dell’inchiesta. L’imprenditore sarebbe stato al centro di una rete stabile di tecnici, funzionari e collaboratori che gli avrebbe permesso di muoversi con estrema disinvoltura nel settore degli appalti pubblici, soprattutto quelli legati alla manutenzione delle strade romane.

Gli inquirenti parlano di informazioni riservate sugli appalti, controlli addomesticati, verifiche “amichevoli” e denaro consegnato a funzionari di Roma Capitale e Astral per evitare che i nodi più critici dei cantieri venissero alla luce.

Tre i livelli del presunto sistema:

  1. Le società del gruppo Pellegrini, dove venivano prodotti documenti e consulenze apparenti per giustificare l’uscita di fondi impropri.
  2. I fiduciari, incaricati di gestire il contante e i rapporti con gli enti pubblici.
  3. I funzionari compiacenti, che avrebbero garantito controlli alleggeriti in cambio di compensi.

Secondo la procura, una parte del denaro estratto dal circuito delle consulenze fittizie avrebbe alimentato anche i finanziamenti informali al Pd Lazio.

Il quadro si chiude: ora tocca alle difese

Tutto il materiale investigativo è ora cristallizzato nell’avviso di chiusura delle indagini. Gli avvocati che difendono Pellegrini e gli altri indagati – tra cui Pierpaolo Dell’Anno, Luigi Annunziata, Paolo Barone e Cesare Gai – avranno il compito di smontare un quadro che la procura considera coerente e strutturato.

Spetterà al pm Del Giudice decidere quali imputazioni portare davanti al giudice e per quanti dei capi d’accusa chiedere il rinvio a giudizio.

Un’inchiesta che scoperchia un sistema

La vicenda di “mister asfalto” non è solo un nuovo scandalo romano: è il racconto di come politica, affari e gestione del denaro pubblico possano intrecciarsi per anni in modo opaco, fino a quando un’indagine riesce a far emergere ciò che si muoveva sotto la superficie.

Il presunto flusso di 300mila euro in nero verso il Pd Lazio è il simbolo di un sistema che, se confermato in tribunale, mette in discussione l’intero modello con cui per anni sono stati gestiti appalti e rapporti istituzionali nella Capitale.