25 Aprile, gita fuoriporta. La meta preferita per molti rimane Predappio

VITERBO – In attesa di ricordare il Capitano Pietro Calistri, tutti pronti per l’ennesimo e tradizionale esodo del 25 aprile a Predappio.

Nell’avvicinarsi della ricorrenza delle fucilazioni arbitrarie di Dongo presentiamo un estratto del libro “Morte Mussolini fine di una vulgata” dove c’è una parte che ricostruisce il processo sommario del nostro concittadino e il tentativo, vano, di alcuni partigiani veri e non assassini come “Valerio” di salvargli la vita.

Walter Audisio “Valerio”
e la scelta dei “fucilandi” a Dongo

Rievochiamo quella triste pagina di storia del 28 aprile 1945 con le esecuzioni di ministri della RSI, fascisti e qualche incolpevole disgraziato, che tal “Valerio” sedicente colonello del CVL, eseguì davanti al parapetto del lungo lago di Dongo.
Anche perchè nelle loro modalità e pretese “giustizialiste”, c’è molto da ridire.

Intanto la giustificazione con la quale si volle dare un carattere legale a queste esecuzioni, venne fatta discendere da un decreto, approvato dai membri del CLNAI, riuniti a Milano la mattina del 25 aprile 1945 nel collegio dei Salesiani in via Copernico, in cui erano presenti: Giustino Arpesani per i liberali, Achille Marazza per i democristiani e i tre membri del Comitato Insurrezionale Sandro Pertini socialista, Leo Valiani azionista ed Emilio Sereni comunista. Al II° Decreto, quello sull’Amministrazione della giustizia, all’art. 5 si affermava:

Quindi, a prescindere dal carattere “legale” della autorità che aveva emesso questo decreto, su cui ci sarebbe molto da dire, era in ogni caso doveroso far precedere una eventuale sentenza di morte verso i membri del governo fascista, da un tribunale straordinario di guerra che, applicando le modalità esecutive che pur il CLNAI aveva previsto, accertasse le responsabilità e le precise identità e ruoli dei singoli imputati, stabilendo se questi erano passibili di pena di morte o meno.

Tutto questo invece non avvenne e l’Audisio si presentò ai comandi della 52° Brigata Garibaldi che a Dongo aveva arrestato i fascisti, imponendo la sua volontà con i criteri e le modalità che adesso vedremo. 

Ed infine, a coronamento di tutta questa vicenda, nessun rapporto venne mai reso al CLNAI o ad altre Istituzioni delle Stato in modo che, neppure negli anni successivi, lo Stato potè redigere una sua relazione su quelle fucilazioni e consentire così agli eredi di coloro che vennero passati per le armi, di conoscere la verità e magari rivendicare documenti, valori, oggetti e beni appartenuti ai loro cari, che come noto furono requisiti e poi sparirono nel nulla.

Già a suo tempo Pier Luigi Bellini delle Stelle Pedro, ma poi soprattutto Urbano Lazzaro Bill, anche se nel suo poco attendibile “Dongo, mezzo secolo di menzogne”, Mondadori 1993, hanno riassunto i momenti salienti in cui a Dongo il colonnello Valerio, intorno alle 15, nello stanzone al piano terreno del Comune, si accinse ad imporre quelli che asseriva essere gli ordini da lui ricevuti per selezionare e fucilare, da una lista di 31 nominativi (non si sa se a quella lista, formulata la sera precedente, venne a metterci mano anche Mario Ferro della federazione comunista di Como, giunto con Audisio, a cui, si disse in seguito, il colonnello aveva assegnato il compito di svolgere un veloce accertamento), 15 condannati a morte più Mussolini. 

Questo conteggio dei “15” ovviamente non lo esplicitò, ma risulterà evidente che era stato previsto per attuare una ritorsione all’eccidio dei partigiani in piazzale Loreto (poi piazza dei XV Martiri) avvenuto nel 1944, piazza che, non a caso, era stata già indicata in un radiogramma, dal contenuto non veritiero, spedito la notte precedente al comando Alleato a Siena, come luogo dove era stato fucilato Mussolini. Ma come sappiamo, per sopraggiunti “imprevisti”, Audisio si era però ritrovato il cadavere di Claretta, ammazzata al mattino, ovviamente non contabilizzabile nella vendetta e poi venne anche a ritrovarsi l’imprevisto cadavere del fratello, cioè quello di Marcello Petacci.

Il fatto che risulti evidente la sua volontà di scegliere a Dongo proprio 15 condannati, inserendoci a viva forza e nonostante le proteste, anche persone non passibili di pena di morte, fa pensare che egli non voleva contarvi il Duce che era già stato ucciso a parte (ovvero già sapeva che era stato ucciso in altro luogo), e comunque non intendesse considerarlo nel gruppo dei 15 che dovevano rappresentare una simmetrica vendetta per l’eccidio del 1944.

Non è facile capire con quali sinistri criteri di “giustizia” egli abbia incluso o escluso le persone da uccidere, fatto sta che, come vedremo, iniziando con Mussolini che poteva pur essere logico, proseguì con la Petacci, la quale oltre a non essere presente nella lista che aveva in mano (ma sapendola già morta, doveva pur includerla in una pseudo sentenza di giustizia!), non rientrava neppure in particolari colpe per essere fucilata e scatenò una forte reazione da parte dei partigiani di Dongo (e forse una sceneggiata per coloro che, sapevano che la poveretta era già stata uccisa al mattino).
Tra proteste e resistenze varie proseguì quindi ad apporre le sue sinistre crocette di morte accanto ad alcuni degli altri 30 nominativi seguendo un suo personale criterio.

Scriverà giustamente il giornalista Luciano Garibaldi, il quale ancor prima di noi aveva espresso considerazioni simili:
<>.
Arriva così ai fatidici 15 condannati, che tra l’altro essendoci di mezzo il soprannumero di Claretta Petacci (o anche considerando il Duce) avrebbe potuto ridurre di una o due unità, risparmiando magari Calistri, un ufficiale dell’aeronautica, che si era trovato nel gruppo per un passaggio nella colonna di carri tedesca e come tale protestava la sua innocenza e/o Nudi che non era certamente da giustiziare, ma non fregandogliene niente pensa forse che Mussolini e Claretta, morti altrove, non fanno parte del gruppo, o chissà quale altro conteggio andò a fare.

Lui sa solo che dovrà trovare 15 “fascisti” da fucilare e poi recarsi a recitare la messa in scena della fucilazione del Duce aggiungendo, a latere, il Capo di questi malfattori (più Claretta che però come donna è gia abnorme che sia stata ammazzata e non può certo contarla nel mucchio). Sorvola così sul cadavere imprevisto della Petacci che gli guasta il numero perfetto, ma qualcuno (un commerciante di legnami di Dongo, fotografo dilettante certo Luca Schenini) gli sussurra, e se lo porterà per sempre alla coscienza, che tra i prigionieri c’è anche il figlio di Mussolini, Vittorio, che invece è Marcello Petacci sotto le mentite spoglie di un diplomatico spagnolo.

Vorrebbe mandarlo a far fucilare subito da Bill Urbano Lazzaro, ma il Lazzaro preso dai dubbi sulla identità di costui lo riporterà indietro. L’equivoco verrà poi chiarito, ma questo colonnello Valerio è caparbio e sospettoso e lo vuole fucilare comunque. Così quando i condannati saranno portati davanti al parapetto del Lago sul luogo d’esecuzione, vi verrà condotto anche il Petacci.
Valerio dovrà quindi aggiungere anche quest’altro poveraccio che, per la reazione dei condannati che non lo vogliono a morire tra loro, viene provvisoriamente distaccato da loro. Poco dopo sarà mezzo linciato dalla folla è ucciso dal tiro dei partigiani durante il suo disperato tentativo di fuga a nuoto nel lago e sotto gli occhi dei figli piccoli rimasti alla finestra in albergo. 

Essendo il Petacci un fuori numero, Valerio non lo vorrebbe neppure ripescare e caricare sul camion con i cadaveri da scaricare a piazzale Loreto, ma sarà costretto a portarselo via per l’insistenza non si sa bene se di Michele Moretti (più probabile) o del Pier Bellini Pedro.

E’ così che i due fratelli Petacci, ai fini della storica vendetta, risulteranno due imbarazzanti ingombri, ai quali si aggiungeranno 5 ministri (Pavolini, Liverani, Romano, Mezzasoma e Zerbino), 1 sottosegretario (Barracu), 2 gerarchi del PFR (Porta e Utimpergher), 2 tra segretari e addetti a Mussolini (Gatti e Casalinuovo) e 5 sventurati (Bombacci, Calistri, Coppola, Daquanno, Nudi), più Mussolini ammazzato come un cane.  

Comunque sia, tutta la sua sceneggiata di fronte al comando della 52a brigata, in cui sembra che, oltre a Guido alias Aldo Lampredi, c’erano anche Neri alias Luigi Canali, Pietro alias Michele Moretti, e Bill alias Urbano Lazzaro, in cui Valerio esordì con il famoso “sono venuto a fucilare Mussolini ed i gerarchi”, dimostra:

primo: che doveva assolutamente racimolare un certo numero di fucilandi (termine con il quale li aveva chiamati Valerio) a prescindere dalle loro responsabilità, altrimenti non si spiega la sua ottusità nel selezionarli nè, per la maggior parte di costoro, nel voler rabbiosamente ignorare la mancanza di imputazioni gravi a passarli per le armi;
e secondo: che sapeva benissimo che a quell’ora la Petacci e Mussolini erano già morti.

L’esperienza ci dice di non credere troppo alle testimonianze e rievocazioni del Lazzaro Bill, per non parlare di quelle del suo compagno di merende Pier Bellini Pedro, le cui storie sono spesso romanzate, edulcorate ed inattendibili, specialmente quando si parla del momento dell’arresto del Duce oppure della sparizione dei documenti sequestrati per i quali i nostri ebbero una loro mai ben appurata parte. Qui però l’argomento esula da faccende in cui il Lazzaro venne poi chiamato a vantarsi o a rispondere per cui, tolta qualche coloritura ed una certa tendenza a dipingere i Garibaldini della 52a come impavidi, buoni e immacolati guerriglieri crediamo, soprattutto per altri riscontri similari, che i ricordi di Bill siano attendibili.

Eccone un estratto:
<“Va bene!”rispose con ira. “Guardiamo ora questo elenco dei prigionieri!” Lesse forte “Benito Mussolini”, aggiunse subito, “a morte!”, e tracciò una croce accanto al nome di Mussolini. Pedro e Guido tacevano. C’era nell’ufficio un senso di soffocamento, come se l’aria fosse diventata irrespirabile. Valerio continuò: “Claretta Petacci: a morte!”. 

Ma nell’elenco dei 31 prigionieri datomi la sera prima da Pietro e che io restituii a Pedro quando egli tornò da solo a Dongo la mattina del 28 aprile, il nome della Petacci non c’era. Mussolini era il 30° della lista. 

Se è accettabile che Valerio abbia letto per primo il nome di Mussolini, segnando una crocetta accanto a quel nome, non altrettanto poteva fare con il nome di Claretta Petacci, perché non compariva in quell’elenco (è evidente che lo segnalò perché essendo stata già ammazzata andava giustificata in qualche modo questa odiosa uccisione. N.d.A.).
A quel punto Pedro si sentì di intervenire e lo fece con prontezza e decisione: 

“Valerio” disse “non trovo giusto che tu condanni a morte una donna pel solo fatto che è stata l’amante del Duce!”
Valerio lo guardò con disprezzo e con ira “Io solo” esclamò “decido chi deve e chi non deve essere fucilato! Barracu: a morte!” Altra croce. 

“Ma Barracu è un soldato, una medaglia d’oro del 1915, non lo puoi fucilare. E poi non mi risulta che abbia fatto del male!” Scattò Pedro. 

“Era sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica e questo basta per cancellare il più puro e valoroso passato!, rispose Valerio.

“Liverani, a morte! Coppola, a morte! Utimpergher, a morte! Daquanno, a morte! Capitano Calistri, a morte! Mario Nudi…”  

Un momento” intervenne Pedro, “ti faccio notare che il capitano Calistri non è stato da noi catturato sulla colonna o sull’autoblinda, ma si è presentato spontaneamente a noi chiedendo lui stesso che fosse esaminata attentamente la sua posizione. E poi non faceva parte del Governo di Salò!”.  

Era sulla colonna e questo basta”, rispose bruscamente “Valerio”. 

Pedro” a quelle parole s’alzò in piedi adirato ed esplose: “Ma allora fucila anche gli autisti, le donne, i bambini, le mogli dei ministri, pel solo fatto che erano nella colonna. E’ inconcepibile tutto questo!” 

Mai “Pedro” aveva perso il controllo di sè, ma di fronte alle assurdità di “Valerio” non seppe trattenersi.
“Valerio”, alle parole veementi di “Pedro”, s’alzò lui pure in piedi pallido d’ira e, picchiando un pugno sul tavolo urlò: 

Ti ripeto che solo io decido qui”! E basta con queste intromissioni e osservazioni! Non voglio più sentire una parola: compreso?”  

Pedro lo guadava con aria di commiserazione domandandosi come il Comando generale avesse potuto affidare un così importante e delicatissimo incarico a un simile individuo. […] 

“Mario Nudi: a morte!”, proseguiva intanto “Valerio”. “Pavolini: a morte! Mezzasoma: a morte! Paolo Porta: a morte!”.
E accanto a ogni nome tracciava una croce con una matita nera. La voce di “Valerio” era ringhiosa e aveva un leggero timbro di soddisfazione: sembrava invaso dalla mania di giustizia. A “Pedro” sembrava di vivere le giornate del terrore della Rivoluzione Francese. E non si dava pace. Ma capiva che non poteva fare nulla. 

“Valerio” disse a un tratto: “Questi sono tutti da fucilare: radunali tutti e preparati a consegnarmeli immediatamente! […] Sbrigati prima possibile. Poi andremo insieme a prendere Mussolini e la Petacci”>>.

Fin qui i ricordi di Bill, a cui si può, almeno questa volta, dare un certo credito.
Di quella fucilazione ci sono alcune testimonianze ed in particolare quella del giornalista G. Pellegrini e del partigiano donghese Osvaldo Gobetti, che ricorderanno:
<>”.
Alcuni dicono che Bombacci abbia gridato: “Viva Mussolini, viva il socialismo”; fermo e dignitoso l’atteggiamento di Pavolini, benchè ferito, che griderà: “Viva l’Italia! Viva il Fascismo!”.

Altri sommari ricordi attestano frasi più o meno simili. 

Da Dongo si telefonerà al direttore de “L’Ordine” di Como, don Peppino Brusadelli e gli si riferisce: < Successivamente, sembra intorno alle 18, la ignobile tecnica del caricamento dei cadaveri sul camion di Valerio è descritta dal capitano David Barbieri: “Poi quando li hanno caricati tutti ci stendono sopra un telone e ci si siedono sopra. Ci sono atti di sciacallaggio: a Barracu viene presa la medaglia d’oro, a Dacquanno l’orologio”. (Vedi anche: Alessandro Zanella: “L’ora di Dongo” Rusconi 1993)>>.

Per la cronaca, questi ultimi turpi particolari, vennero poi smentiti da un paio di risentiti, ma sospetti in quanto interessati, partigiani che avevano fatto parte del plotone dell’Oltrepò (Vedi: Fabrizio Bernini: “Così uccidemmo il Duce” Ed. C.D.L. 1998)>>.

 

Pietro Calistri nasce a Verona il 30 ottobre 1914, da una famiglia originaria di San Martino al Cimino, in provincia di Viterbo. 

Dopo aver conseguito la maturità classica a Udine nell’anno scolastico 1935-1936, Il 5 settembre 1935 entra nella Regia Aeronautica come Allievo Ufficiale pilota di complemento, ottenendo il brevetto di pilota il 9 marzo 1936 e quello di pilota militare il 25 luglio dello stesso anno presso la Scuola caccia situata sull’aeroporto di Aviano.

Divenuto sottotenente, viene assegnato al 1º Stormo Caccia Terrestre di Campoformido. Nel 1937 parte per la Spagna, dove infuria la guerra civile. Presta servizio nella 32ª Squadriglia del VI Gruppo Caccia, comandata dal maggiore Ernesto Botto. Al rientro dalla penisola iberica, il 9 giugno 1938, viene promosso sottotenente in S.P.E. per merito di guerra.

Il 21 marzo 1939 ottiene la promozione a tenente.

All’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, prestava servizio presso la 72ª Squadriglia del 21º Gruppo entrata subito in azione sul Mediterraneo centrale e su Malta.

Proprio 35 miglia a ovest dell’isola, il 17 giugno, conseguì la sua prima vittoria aerea abbattendo un aerosilurante Fairey Swordfish.

Trasferito alla 75ª Squadriglia del 23º Gruppo Autonomo Caccia, dal 15 dicembre 1940 al 6 febbraio 1941 combatté in Africa settentrionale.

Il 4 gennaio 1941 conseguì la sua seconda vittoria aerea, abbattendo un caccia Hawker Hurricane vicino a Bardia, e il sei dello stesso mese ottenne la promozione a capitano.

Nell’autunno del 1941 assunse il comando della 377ª Squadriglia Autonoma, equipaggiata con i monoplani da caccia Reggiane Re.2000, basata sull’aeroporto di Trapani Milo.

Compito di tale squadriglia consisteva nell’uso operativo del velivolo prodotto dalla Reggiane, acquisito in pochi esemplari dalla Regia Aeronautica, al fine di valutarne le caratteristiche tecniche, ed in particolare i serbatoi alari nelle ali.

Durante i cicli di operazioni belliche sul Mediterraneo e in Africa Settentrionale fu decorato con due Medaglie d’argento al valor militare.

Trasferito alla 76ª Squadriglia, 7º Gruppo del 54º Stormo Caccia Terrestre, operò dalle basi siciliane di Trapani, Comiso e Pantelleria venendo insignito di Medaglia di bronzo al valor militare ottenuta sul campo.

Nell’agosto 1942 il suo reparto iniziò ad operare dall’aeroporto di Pantelleria, e il 17 agosto abbatté un aerosilurante Bristol Beaufort del No.235 Squadron, circa 35 miglia a ovest dell’isola.

Ferito in combattimento il 1º luglio 1943, viene allontanato dalle operazioni e collocato a riposo il 17 dello stesso mese.

Alla proclamazione dell’armistizio con gli anglo-americani, l’8 settembre 1943, si trovava in forza alla 2ª Zona Aerea Territoriale di Padova.

Dopo un iniziale sbandamento decise di rispondere all’appello lanciato dal colonnello Botto, e aderì alla Repubblica Sociale Italiana, entrando a far parte della neocostituita Aeronautica Nazionale Repubblicana.

Posto al comando della 3ª Squadriglia “Dante Ocarso” (detta “Arciere”), una delle tre che componevano il 1º Gruppo caccia “Asso di bastoni”, la comandò fino al febbraio del 1944, quando dovette lasciare l’incarico per motivi di salute.

Prestò successivamente servizio in una postazione radar italo-tedesca situata a Senago, come ufficiale addetto alla guida caccia fino al termine delle ostilità.

Il 26 aprile fu messo in libertà dal suo comando, e si aggregò ad una colonna della Luftwaffe diretta in Valtellina.

Il giorno 27, a tale colonna, si aggregò quella fascista che scortava Mussolini ed altri esponenti del governo della RSI.

Arrestato dai partigiani dalla 52ª Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, il giorno 28 verrà fucilato a Dongo insieme ad altri gerarchi fascisti, perché ritenuto il pilota personale del duce, che invece era Virgilio Pallottelli.

Il suo corpo fu esposto a Piazzale Loreto e successivamente tumulato in una fossa comune.

La salma venne identificata nel settembre dello stesso anno, e definitivamente traslata presso il cimitero di San Martino al Cimino dove ora riposa.

Durante il ciclo di operazioni belliche, durato dal 10 giugno 1940 al 1º luglio 1943, volò a bordo dei caccia Fiat CR.42 Falco, Reggiane Re.2000 e Aermacchi C.202 Folgore, conseguendo due vittorie accertate, tre probabili e il danneggiamento di altri tre velivoli.

Una raffica degli eroici partigiani di Dongo, come detto, bucarono un petto ricco di medaglie.

Ecco i riconoscimenti:

MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE

«Comandante di squadriglia da caccia di eccezionale perizia ed ardimento, in aspri combattimenti, in mitragliamenti di mezzi meccanizzati nemici, ed in lunghi voli di ricognizione, guidava il reparto al conseguimento di brillantissime vittorie, confermando elevate qualità di combattente valoroso e di cacciatore audace. Cielo del Mediterraneo e dell’Africa settentrionale, agosto 1940-XVIII febbraio 1941-XIX.»

MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE

«In lunghe navigazioni e crociere, compiute su velivolo monomotore terrestre, su mare aperto, confermava qualità di ottimo ardito pilota. In due brillanti combattimenti, rapidamente conclusi con l’abbattimento dell’avversario, dava prova di alta capacità professionale, aggressività di cacciatore, cosciente sprezzo del pericolo in ogni contingenza.»
— Cielo di Malta, 11 giugno-31 luglio 1940-XVIII.

MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR MILITARE

«Partecipava, quale comandante di una squadriglia da caccia, alla luminosa vittoria dell’ala d’Italia nei giorni 14-15 giugno 1942 nel Mediterraneo. Di scorta ad una nostra formazione navale, impegnata in aspro combattimento con numerose unità nemiche, guidava con abilità ed ardimento i propri gregari, assicurando il predominio del cielo della battaglia alla nostra aviazione e sventando le insidie della caccia nemica.»
— Cielo del Mediterraneo, 14-15 giugno 1942.