L’ex patron del Grifo deceduto dopo lunga malattia a Santo Domingo. Personaggio carismatico, storiche le sue sfuriate. La triste vicenda del fallimento e la straordinaria storia del purosangue Tony Bin non dimenticando il primo allenatore donna del calcio professionistico a Viterbo: Carolina Morace
SANTO DOMINGO – Luciano Gaucci, ex presidente del Perugia Calcio, è morto a 81 anni a Santo Domingo. Luciano ‘Uaragano’ si è spento dopo una lunga malattia. E’ stato presidente del Grifo per tredici anni, dal 1992 al 2004 e con i biancorossi ha conquistato due promozioni dalla serie B alla serie A, più una promozione in B revocata per illecito nel 1993, dopo lo spareggio di Foggia contro l’Acireale vinto sul campo dal suo Perugia.
Personaggio che ha segnato un’epoca calcistica non solo in Umbria, con le sue proverbiali sfuriate, nel 2005 dopo il fallimento del Perugia si rifugiò a Santo Domingo, che è divenuta la sua seconda casa, e dove è morto oggi.
La storia Imprenditore nel settore delle pulizie con la ditta La Milanese, fu vice presidente della Roma ai tempi di Dino Viola prima di intraprendere l’avventura perugina. Appassionato di ippica, fondò anche una scuderia nella quale fece crescere il famoso cavallo Tony Bin vincitore tra le altre dell’Arc de Triomphe. Arrivò a Perugia nel novembre del 1991 con la squadra in serie C1 e subito operò dei grandi investimenti per portare in alto la squadra.
Nel 1994 la prima promozione in B, poi nel 1996 e nel 1998 le due promozioni in A. Autore di ‘colpi’ come quello di Hidetoshi Nakata e di operazioni di marketing incredibili come quella di Saadi Al Gheddafi, è stato anche presidente di Catania, Sambenedettese e Viterbese. Lanciò insieme al figlio Alessandro, Serse Cosmi nel 2000 sulla panchina del Perugia. Con lui il Perugia vinse anche la Coppa Intertoto ed ottenne la qualificazione in Coppa Uefa. Al termine della stagione 2003-04, con il doppio spareggio al cospetto della Fiorentina, il Perugia retrocesse in serie B e da quel momento calò il sipario.
La stagione successiva, col figlio Alessandro al timone, fu l’ultima della gestione Gaucci.
Caucci anche a Viterbo ha lasciato il segno. Portò la sua giovane amante, l’attuale moglie di Gianfranco Fini, Elisabetta Tulliani fino alla presidenza del sodalizio Gialloblù e dove le crocare ricordano anche il fratello “malandrino” della Tulliani.
Torr’Alfina e il castello furono l’emblema del potere di Gaucci dove portò a cena, e noi eravamo presenti con il grande Andrea Arena, il Napoli sull’orlo del fallimento.
Proprio alla fine del 2019 è morto in Giappone il purosangue che ci ha fatto tremare d’emozione Ciao Tony Bin, cuore d’Italia Venerdì nell’allevamento di Yoshida un incidente (frattura delle vertebre cervicali) ha provocato la fine del 17enne stallone che per i colori di Gaucci inanellò 4 straordinarie stagioni, rese indimenticabili dall’ impresa di Parigi nel 1988 Cominciò la carriera da «gregario», la concluse vincendo l’ Arc de Triomphe Venerdì nella «casa» che occupava fin dal dicembre 1988, la giapponese Shadai Farm della famiglia Yoshida, è morto Tony Bin. Un incidente di paddock (rovesciamento con frattura di vertebre cervicali) lo ha portato alla fine: aveva 17 anni e nella sua carriera stalloniera, seguita a quella folgorante in pista, produsse ben 247 vincitori. Nato in Irlanda nel 1983 nell’ allevamento di P.J.B. O’ Callaghan, Tony Bin passò all’ asta di Goff’ s Sale di Dublino nell’ ottobre dell’ anno successivo «trovando» un prezzo di 3.000 ghinee (circa 7 milioni) dall’ italiana «White Star» di Luciano Gaucci. Ad acquistarlo materialmente fu il veterinario Giampiero Brotto, amico, consulente e «mente» di quella che al tempo era una delle formazioni più lanciate dell’ ippica italiana.
Brotto fu colpito dalla robustezza, dallo sguardo attento, dalla perfetta simmetria di quel puledro di taglia media. Il prezzo modesto era giustificato da un padre, Kampala, già svenduto dagli irlandesi in Nuova Zelanda dopo una carriera di appena 8 corse, tutte fra i 1000 e i 1600 metri. In realtà, come nipote di Zeddaan, Kampala risaliva a Nearco. Fin qui la cronaca asciutta dell’ inizio di un’ avventura forse irripetibile che avrebbe trasformato quel puledro onesto al quale l’ allevatore – come si usa nei Paesi anglosassoni – non aveva ancora dato un nome, nell’ ultimo mito del nostro galoppo e non solo. Al nome provvide lo stesso Gaucci quando, di ritorno dall’ Irlanda, passò a Parigi e si trovò al Louvre accanto a un vecchio pittore che stava terminando un’ imitazione della Gioconda. Quell’ uomo cadente, logoro, affranto si chiamava Tony Bin ed era veneto. Lo invitò a casa sua, in una soffitta, e gli chiese un milione e mezzo di quel quadro vissuto. Gaucci ribassò a un milione, si portò via il quadro e un immenso rimpianto: aver quasi «sottratto» quel mezzo milione. Rientrato in Italia chiamò il puledro come quell’ antico, esiliato pittore. Poi, tre anni dopo, nel giorno del vittorioso Arc gli venne incontro un uomo alto e ricciuto: «Sono il figlio di Tony Bin, mio padre è morto in febbraio». Fu la grande amarezza di un giorno, il 2 ottobre 1988, indimenticabile per il nostro galoppo. Un evento atteso dal 1961, quando Molvedo passò vittorioso in una corsa che è la summa dell’ intera annata agonistica europea e rende imperiosamente grande chi la domina. Ancora di più se, come Tony Bin, quella corsa l’ hai sfiorata l’ anno prima finendo secondo e avendo poi la forza, l’ audacia e i polmoni di ritentare vincendo per prenderti la rivincita sul favorito: Mtoto. Quell’ anno fu l’ultimo dei 4 della carriera di Tony Bin, che dopo l’ Arc corse da favoritissimo il milanese Jockey Club, ma non riuscì a dare la gioia ai 12 mila di S. Siro, come nella stagione precedente.
A guidare la Viterbese, nel 1997, arrivò un altro numero uno dei presidenti di calcio italiani. Quel pazzo di Luciano Gaucci, capace di portare il Perugia, con Serse Cosmi, in Coppa Uefa. Eccentrico e geniale, decise di far allenare la squadra della Città dei Papi ad una donna: Carolina Morace.
Luciano Gaucci, presidente della Viterbese, presenta il nuovo allenatore Carolina Morace insieme alla vice Betty Bavagnoli oggi allenatrice della Roma
“Prima donna al mondo al mondo ad allenare una squadra professionistica di calcio” celebrava solenne Giuseppe Toti sul Corriere della Sera. “Ecco la mia Nakata” annunciava invece Luciano Gaucci. La Morace, presentata in conferenza stampa al Palazzo dell’Incoronazione di San Martino al Cimino, a chi le chiedeva se chiamarla “trainer, o mister, o mistera” rispose candida, ma decisa: “Chiamatemi Carolina”. Il 4-4-2 nella mente, il modello del Milan di Capello e della Juve di Lippi. “Il calcio è l’unico sport dove gli allenatori si improvvisano. I settori giovanili sono quasi spariti perché non esistono più gli istruttori – raccontava Morace – In compenso, va in panchina l’edicolante o il macellaio, a differenza di tutte le altre discipline”. La storia finì addirittura sulle pagine dell’americano Time: “La Morace per il calcio femminile a quello che ha rappresentato Michael Jordan nel basket. Ma in Italia sembra che nessuno se ne sia reso conto. L’Italia vive di calcio, ma solo quello giocato dagli uomini”.
Sei stato un grande presidente. Ti abbiamo voluto bene. Ci mancherai perché mai nessuno, almeno tra coloro che ti ha conosciuto, ti ha dimenticato.