ROMA – Di isole chiamate Santo Stefano in Italia ce ne sono ben due: una nel Lazio e una in Sardegna, ma è la prima, quella che si trova sulla costa che separa Napoli da Roma, che diventerà un museo a cielo aperto. Sarà una “Alcatraz italiana”, come è già stata ribattezzata.
Santo Stefano, oggi, è un’isolotto in cui pochi riescono ad arrivare: solo sub avventurosi, pescatori e nuotatori provetti. Ma un tempo – prima del 1965, anno in cui l’isola fu trasformata in parte del parco naturale – l’isola era tristemente nota e frequentata perché era un carcere.
Sin dall’epoca romana l’isola, che fa parte delle ponziane, fu destinata a nemici, dissidenti, persone sgradite al potere e criminali. Su un lato dell’isola c’è “la vasca”, una specie di jacuzzi naturale in cui le guardie romane portavano i prigionieri, magari poco prima che venissero lasciati morire di fame o uccisi.
La triste storia di quest’isola non risale solo all’antichità. Durante il fascismo, per esempio, qui finirono centinaia di comunisti, anarchici e ancora studenti, lavoratori e dissidenti politici. Morirono a migliaia in condizioni inumane, ma oggi, ed è un peccato, sono in pochi ad averne memoria.
Il carcere su Santo Stefano c’è ancora, è un edificio enorme e ha la forma di un grande anfiteatro: ogni cella si affaccia soltanto con un minuscola finestra che dà sul cortile esterno, dove stazionavano le guardie carcerarie. Da questo cortile interno ogni cella è visibile direttamente, proprio come dal palco, a teatro, si vede ogni balconata occupata dagli spettatori.
Le torture, fino all’epoca fascista, prevedevano di lasciare i detenuti al sole senz’acqua né cibo, ma anche violenze fisiche e psicologiche. Per ricordare tutto ciò e voltare pagina, oggi, lo stato ha investito 70 milioni di euro in modo che su Santo Stefano possa finalmente tornare la società civile: ci saranno visite turistiche, lezioni e seminari universitari, ma anche la possibilità di dormire sull’isola (le strutture sono in fase di ristrutturazione) e addirittura degli incontri su temi come ambiente, diritti umani e Unione Europea.
L’idea, in altre parole, è quella di restituire l’isola ai cittadini e alle attività utili, completamente opposte alla violenza delle carceri. Certo non sarà facile, ma le premesse per riuscirci ci sono tutte: un’isola incontaminata e parte di un grande parco naturale, la possibilità di un piccolo porticciolo per l’attracco delle barche coi turisti, bar e piccoli ristoranti, alberghi e una lunga storia da raccontare e diffondere soprattutto alle nuove generazioni.
Il mese di giugno sarà quello cruciale per il progetto di ammodernamento dell’isola di Santo Stefano, i lavori vanno avanti da mesi ma il progetto organico verrà presentato dalle istituzioni proprio entro la fine del mese. Intanto l’interesse per quest’isola dalla storia violenta e dalle infinite possibilità future cresce a dismisura: recentemente, per esempio, la CNN se ne è occupata con un lungo reportage, e in generale gli occhi sono rivolti a quella che potrebbe rivelarsi come una grande occasione per il rilancio economico delle attività della zona.
Se il progetto di riconversione avrà successo, infatti, a guadagnarci saranno i pescatori, che magari riforniranno i ristoranti sull’isola, ma anche i lavoratori stagionali, le imprese edili che si occuperanno delle ristrutturazioni e così via. Manca poco per capire come evolverà la storia di Santo Stefano, non resta che aspettare.