Questa è la storia di una vita dedicata all’amore e alla passione in qualcosa in cui si crede, secondo noi merita di essere letta, perché in un mondo dove sembra tutto finito, dove la speranza di una vita migliore sembra svanita nel nulla, sono queste realtà che ci accendono un lumicino nel cuore che ci dicono che ancora vale la pena lottare per dare uno scopo alla nostra vita quotidiana.
Le meravigliose foto di Bruno Pagnanelli accompagnano la storia del Caseificio Aziendale Luisa a Montefiascone
L’azienda nasce negli anni ’30, nel 1999 si da inizio all’allevamento di bufale. Nel 2004 nasce il Caseificio Aziendale Luisa, che oggi è un’affermata realtà nel settore gastronomico.
Ci siamo ritrovati, ci siamo raccontati e alla fine mi ha donato un po’ della sua vita, in un percorso di quattro ore dove ha condensato, in una corsa fatta di parole, cinque lustri di fatica immane, di notti insonni, di dubbi e delusioni profonde e di dedizione assoluta.
Mi ha concesso di entrare dietro le sue quinte, di scattare immagini relative ad una passione comune, lui per produrle, io per mangiarle. Eh si perché parliamo del mio cibo preferito: le mozzarelle di bufala. Qui, nella Tuscia, fuori dalla Campania, a Montefiascone.
E così mi ha mostrato, accompagnandomi in un percorso fatto di paradossi, dove si combatte fra tecnologia e tradizioni, tutto quello che ha creato, da solo. Dall’inizio, con quei 27 capi, da quell’azzardo che gli toglieva il sonno fino ad oggi, dopo aver parlato di fienagioni, di controllo del prodotto e della qualità, di guerra alla contraffazione e allo spreco. Mi ha fatto vedere come compone da solo il mangime, come mungono, come ricerca la pulizia, come i suoi casari compongono quella meraviglia per il palato.
Ha rischiato tutto, ha perso notti, disperato, dalle morti delle manze all’inizio e dalle difficoltà iniziali, da quella mancanza di esperienza e conoscenza che ha patito, ma che ha recuperato, pagando tutto in prima persona. Senza mai tempo per se, senza feste, senza tregua alcuna.
La testardaggine ha poi prevalso e da quei venti capi oggi ha una piccola azienda che produce latte, che trasforma in delizie e che è autosufficiente e sostenibile, che recupera ogni tipo di scarto e che reinveste tutto per ottimizzare e diventare migliore.
Mi ha colpito, moltissimo, quando mi ha raccontato, in un crescendo di commozione, che a causa della sua inesperienza e della sua stessa passione, fu testimone della morte di alcuni dei suoi capi. Mi ha raccontato di quante volte è stato prossimo a mollare tutto. Mi ha descritto, senza saperlo ciò che adora, quali sono le soddisfazioni che prova. Cose semplici, come i vitellini che accarezza, o gli apprezzamenti per il prodotto che produce.
Ho passato un pomeriggio con lui, con la moglie, con Gabriele e gli altri operai, guardando come e cosa fanno, per arrivare a vedere poi come nasce, alla fine, quella bolla di pasta filata così squisita e sapida.
Mi hanno preso per mano e mi hanno regalato un po’ di speranza.
Perché pensavo che amore e passione, dedizione e sacrificio non fossero più di questo mondo.
Grazie Pietro.
di Bruno Pagnanelli