Le Acque Termali

Il mito
Narra la leggenda che Ercole, di passaggio nell’Etruria, fosse sfidato dai Lucumoni etruschi a dare prova della sua forza straordinaria: l’eroe allora conficcò in terra un enorme palo, che nessuno oltre a lui riuscì a divellere; dal gigantesco cratere lasciato nel terreno immediatamente scaturì dell’acqua bulicante, prodigio da cui deriva il nome “Bulicame” che ancor oggi identifica la sorgente principale del bacino termo-minerale viterbese.

L’epoca etrusca e romana
Le origini delle terme di Viterbo si perdono dunque nel mito, creato per dare un’aura divina alla ricchezza e alle eccezionali virtù terapeutiche delle sue acque. È accertato, invece, che esse furono conosciute e apprezzate già dagli Etruschi: quando i Romani, all’inizio del III secolo a.C., riuscirono a varcare l'”orrenda e impenetrabile” Selva Cimina e a raggiungere le “opulente campagne d’Etruria” (Tito Livio), vi trovarono infatti insediata una civiltà dalla cultura termale già estremamente raffinata.
Di essa fecero tesoro, costruendo attorno alle numerose sorgenti edifici sempre più maestosi che, fino a tutta l’età imperiale, resero la città di Viterbo — l’antica Surrena — un polo di notevole attrazione e prestigio per il patriziato romano; un’interpretazione, questa, suffragata dal fatto che il tracciato originale dell’antica via consolare Cassia non ricalcava quello dell’odierna S.S.n.2 attraverso il centro abitato, ma passava invece nelle campagne ad ovest della città, costeggiando lungo undici chilometri ben quattordici stabilimenti, e fungendo dunque da arteria di collegamento diretto tra l’Urbe e le terme viterbesi.
La rilevanza del complesso termale è del resto attestata da numerose testimonianze di letterati romani: citate da Tibullo e da Simmaco, lodate per i molteplici benefici alla salute e per la magnificenza degli edifici da Marziale e dal medico dell’Imperatore Tiberio, Scribonio Largo, le terme di Viterbo furono esaltate da Strabone come “dotate di acque tanto abbondanti da rivaleggiare con quelle celeberrime della baia del capo Miseno”, località notissima all’epoca per lo straordinario numero di sorgenti. E, come avveniva in genere in età romana per tutti gli stabilimenti termali, anch’esse diventarono un fondamentale luogo di socializzazione e di elaborazione culturale.

Il Medioevo
Con la fine dell’impero romano e l’arrivo dei barbari (i Goti di Teodato), la zona subì però un inevitabile declino. Alla raffinatezza decadente della società romana si sostituì la rozza primitività degli invasori: ben presto la devastazione del territorio, il crollo della complessa struttura amministrativa romana, l’abbassarsi del tenore di vita della popolazione locale, e il progressivo diffondersi del cristianesimo (che, condizionando ogni aspetto della vita quotidiana, faceva guardare con sospetto alle terme come luoghi di peccaminosa promiscuità) causarono il totale abbandono delle strutture termali viterbesi.
Fu solo a partire dal XIII secolo che riprese l’utilizzo, ma ormai unicamente a scopo terapeutico, delle sorgenti. Esse tornarono ad essere rinomate e ben frequentate: verso la fine del 1200 lo stesso Dante si trovò a passare per Viterbo e, colpito dalla grandiosità del “Bulicame”, lo immortalò di lì a poco nella sua Commedia (“Qual del Bulicame esce ruscello/ che parton poi tra lor le peccatrici/ tal per la rena giù sen giva quello…”: “Inferno”, XIV, 79-81); un altro poeta toscano, Fazio degli Uberti, lo citò invece nel 1350 nel Dittamondo.

Dal Rinascimento ai giorni nostri
Diversi furono i pontefici, tra cui soprattutto Niccolò V e Pio II nel XV secolo, che fecero delle terme viterbesi la loro meta privilegiata per curarsi da malattie quali i reumatismi, la “podagra” (gotta) e il “mal della pietra” (calcoli renali). Favorendo negli anni il restauro e l’ampliamento degli stabilimenti, essi assicurarono alla città e alle sue strutture un nuovo periodo di fama e benessere, tanto che le terme viterbesi furono da allora chiamate “Terme dei Papi”.
Michelangelo Buonarroti, sostando a Viterbo per curarsi dal mal della pietra, durante uno dei frequenti viaggi a Roma compiuti tra il 1496 e il 1536, rimase colpito dalla bellezza dei resti dell’antico stabilimento romano “del Bacucco” e ne fece due disegni a penna che sono oggi conservati presso il Museo di Vicar de Lille in Francia.
Attraverso successive e alterne vicende di decadenza e splendore, il complesso termale di Viterbo è comunque riuscito a conservare intatta nel tempo la sua immensa ricchezza naturale; dai primi anni dell’Ottocento fino a oggi, anzi, continue opere di ampliamento e di ammodernamento lo hanno collocato tra i più attrezzati ed efficienti d’Europa.

Gli antichi stabilimenti termali
Lungo il tracciato dell’antica via consolare Cassia (oggi non più visibile tranne che per un breve tratto a cavallo del Fosso Risiere) sorgevano, in epoca romana, ben quattordici stabilimenti, di molti dei quali rimangono tracce importanti che, sebbene ormai dirute e abbandonate, ci ricordano la millenaria tradizione termale di Viterbo:

Terme del Masso o Massi di S. Sisto (Località Palliano): questi ruderi ben conservati, insieme a frammenti di tegole, marmi e terracotte sparsi nei campi circostanti, fanno pensare che il complesso si estendesse in maniera notevole. Circa 1,5 km più a nord scorre il Fosso Risiere, presso cui affiora l’unico tratto ancora visibile del pavimentum della Cassia antica.

Terme degli Ebrei: di esse, situate nei pressi dell’odierno stabilimento “Terme dei Papi”, e a strapiombo sul Fosso Caldano, rimane un massiccio rudere completamente coperto di rovi. Questo stabilimento fu probabilmente riutilizzato in epoca medioevale, come dimostrerebbero alcuni particolari costruttivi.

Terme delle Zitelle: di questo stabilimento rimangono, oltre a una parte della struttura esterna, dei meravigliosi pavimenti a mosaico, oggi purtroppo non visitabili.

Terme della Lettighetta: stupendo esempio di costruzione romana a pianta quadrata, la cui forma ricorda quella di una lettiga, da cui il nome. A 100 metri da essa si ergono i resti di due ambulacri dell’età repubblicana.

Terme del Bacucco: costituiscono i resti più maestosi fra quelli presenti nel territorio viterbese e testimoniano la grandiosità e sontuosità che doveva avere in origine questo stabilimento. Colpito dalla loro bellezza, Michelangelo ne tracciò due schizzi a penna.

La città di Viterbo, oltre ad essere famosa come Città dei Papi è, da tempo immemore, ricordata per le sue acque termali. In quest’area troverete tutto quanto concerne la nascita e lo sviluppo di questo benessere del corpo, della mente e dell’anima.