Confermato il provvedimento del Gip di Viterbo. Giusta la misura cautelare della custodia cautelare in carcere in riferimento ai reati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, di estorsione, danneggiamento e favoreggiamento, aggravati anche ai sensi dell’art. 416-bis
ROMA – La Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da Oufir Fouzia e Giuseppe Trovato avverso il provvedimento del Tribunale di Roma e li ha condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro ciascuno a favore della Cassa delle ammende.
L’avvocato Giuseppe Di Renzo, difensore dei due detenuti, aveva proposto ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di Roma che aveva rigettato le istanze di riesame proposte da Oufir Fouzia e Giuseppe Trovato avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari distrettuale con il quale è stata applicata, ad entrambi, la misura della custodia cautelare in carcere in riferimento ai reati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, di estorsione, danneggiamento e favoreggiamento, aggravati anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod.pen.
I fatti riguardano l’esistenza e la composizione di un’associazione criminosa, insediata a Viterbo, diretta da Giuseppe Trovato e caratterizzata dall’esplicazione di modalità ritenute rispondenti al modello delineato dall’art. 416-bis cod. pen., cioè di stampo mafioso e finalizzata ad imporre sul territorio il monopolio delle attività economiche gestite dal Trovato, attraverso la consumazione di diversificati reati.
In particolare, l’applicata misura restrittiva in carcere, delinea la posizione verticistica di Giuseppe Trovato e la partecipazione attiva nell’associazione dal medesimo diretta. Stessa cosa per Oufir Fouzia.
Il Tribunale di Roma aveva già rigettato le istanze di riesame proposte da Oufir Fouzia e Giuseppe Trovato avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari distrettuale con il quale è stata applicata ad entrambi la misura cautelare della custodia cautelare in carcere.
Appare evidente che esisteva la composizione di un’associazione criminosa, insediata in Viterbo, diretta da Giuseppe Trovato e caratterizzata dalle modalità mafiose.
L’avvocato Giuseppe Di Renzo, contestava la violazione della legge processuale e, in particolare, chiedeva la nullità dei decreti di intercettazione, telefonica ed ambientale, e conseguente inutilizzabilità dei relativi risultati, per essere state le operazioni di registrazione ed ascolto eseguite presso gli uffici della Procura della Repubblica di Viterbo, sebbene i medesimi mezzi di ricerca della prova fossero stati autorizzati su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma.
Inoltre, veniva contestato la violazione di legge e correlato vizio della motivazione in riferimento alla gravità indiziaria relativa ad alcuni capi di imputazione. Oltre naturalmente alla posizione di Oufir Fouzia che si trova ad avere in capo dei capi di imputazione solo perché convivente del Trovato.
L’avvocato Di Renzo, quindi, evidenziava chiaramente l’esistenza di un rapporto di mera solidarietà affettiva ed invece ingiustificatamente valorizzata in punto di partecipazione.
ECCO LA SENTENZA INTEGRALE
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