Viterbo, il nonno della 16enne trovata senza vita nel suo letto: “Stava male, è morta tra le braccia della madre”
MONTEFIASCONE “Me l’hanno ammazzata: è tremendo. Me l’hanno ammazzata”. Il nonno di Aurora Grazini, la ragazza di 16 anni (ne avrebbe compiuti 17 l’11 giugno) morta all’alba di sabato scorso a Montefiascone dopo essere stata dimessa dall’ospedale Belcolle di Viterbo, piange e non si dà pace.
Ilario Gambetta abita in una stradina in salita, a sei chilometri dalla villetta dove vive sua figlia Anna Maria con la famiglia: il marito Giancarlo e Rachele, la figlia maggiore, 18 anni. Fino a sabato mattina c’era anche Aurora.
Quella di Ilario è una casa a due piani. Lui però, con la moglie, è costretto al piano terra “perché non posso più fare le scale, sono malato e sono vecchio, perché non sono morto io?”. Mostra la foto della nipote nel giorno della prima comunione: bella, con le mani giunte, gli occhi tondi, un mezzo sorriso alla Monna Lisa. Posa la cornice sul tavolo e racconta cosa è successo sabato: “Aurora stava male da venti giorni, una brutta influenza: non l’ho potuta vedere in quelle tre settimane perché sono debole, non posso prendermi niente. Ma le parlavo al telefono, di lei mi raccontava mia figlia, l’ultima volta che era venuta a trovarmi si era seduta proprio lì, sul letto, aveva quel suo bel sorriso solare che ti illuminava la giornata. Giovedì era tornata a scuola: dopo tanti giorni di assenza era rimasta un po’ indietro ma era stata interrogata lo stesso: la professoressa le aveva messo 4, ma si può? Ci era rimasta malissimo, già stava giù, con questa botta, poi…”.
Si torce le mani nonno Ilario, mentre la moglie gli sussurra carezzandogli la spalla: “Calmati, Ilario, calmati”. Ma lui vuole raccontare, vuole parlare una volta ancora della sua nipotina, che amava tanto: “Sabato poi si è sentita male e alla fine mia figlia, la mamma di Aurora, ha chiamato l’ambulanza”. Il mezzo della Croce Rossa, in codice verde, la porta all’ospedale di Viterbo. Qui viene visitata dal direttore del pronto soccorso Daniele Angelini che la trova in grande stato di agitazione e la avvia subito su un percorso psichiatrico. “Certo che era agitata” spiega nonno Ilario. “Era arrivata in ambulanza, non ci era mai salita, aveva male alla gola, si sentiva strana, stanca, dopo tutti quei giorni di febbre: era anche tanto dimagrita”. Il dottore le fissa un appuntamento con un neuropsichiatra per il lunedì successivo, oggi, “poi le somministra quindici gocce, mia figlia non vede neanche quali”.
Le prescrive l’En, una benzodiazepina con funzioni ansiolitiche, poi la dimette. Senza nessuna analisi ematochimica, senza approfondimenti clinici. “Il percorso che era stato scelto per lei non lo richiede” spiega la direttora sanitaria dell’ospedale, Daniela Donetti. “Le gocce la intontiscono subito” racconta ancora nonno Ilario. “Aurora e Anna Maria escono per aspettare il padre: Aurora appoggia il capo sulla spalla della mamma, non si regge in piedi. In macchina è seduta dietro ma siccome respira male la fanno passare davanti. A casa non vuole stare sola, si mette sul divano, la mamma prepara da mangiare, poi la mette a dormire nel letto con lei: la veglia per tutta la notte e verso l’alba chiama il marito, che in quel momento era in bagno: urla, corri, presto, non respira, non respira”. Aurora le muore tra le braccia. “E io adesso voglio sapere perché” singhiozza nonno Ilario asciugandosi ancora una lacrima. È la stessa domanda della sorella Rachele, che piange disperata abbracciata agli amici nel parcheggio vicino a casa. La stessa della zia Tiziana che arriva da Orvieto, dove vive. La stessa di tutti i ragazzi che, con gli occhi rossi e il capo chino, vanno e vengono dalla villetta.
(fonte Repubblica.it)