Il presidente insultò il giornalista de “Le Iene”, cercò di gettare ombre sulla vicenda e tratto come “appestati” gli agenti che rischiarono la propria vita. I magistrati hanno riconosciuto a Manganaro e i suoi uomini, una volta per tutte, l’atto di grande valore
MESSINA – La Commissione antimafia siciliana, dopo essersi occupata dell’attentato mafioso all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, aveva chiesto che s’indagasse ancora.
Impossibile dimenticare la conferenza stampa e l’arroganza con la quale il presidente di quella commissione regionale Claudio Fava, trattò in malo modo il giornalista de “Le Iene“, Gaetano Pecoraro, quando cercò di fare luce sulla vicenda e definì i sui servizi una “scorribanda“.
Domande scomode e risposte sgarbate. Nel frattempo lo Stato aveva già celebrato i suoi poliziotti eroi. Quelli che ingaggiarono un conflitto a fuoco con i mafiosi e salvarono la vita all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.
La Procura di Messina ha messo la parola fine a questa lunga vicenda che qualche politico, evidentemente per particolari ragioni, aveva cercato di bollare come una “messinscena“.
La conclusione dell’indagine bis sull’agguato è stata la stessa della prima: archiviazione.
Con un provvedimento del gip di Messina, Simona Finocchiaro, nel quale ha accolto la richiesta del sostituto della Dda Fabrizio Monaco, ha definito l’ipotesi dell’organo regionale come “pure elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio“; e afferma poi che “la conclusione raggiunta dalla Commissione (ossia che l’ipotesi dell’attentato mafioso sia la meno plausibile) appare preconcetta e comunque non supportata da alcun dato probatorio”.
Nel provvedimento di archiviazione di questa seconda inchiesta e dopo aver ricostruito l’attentato e la minuziosità delle indagini, il gip è passato ad esaminare le presunte contraddizioni delle dichiarazioni rilasciate in audizione da Antoci, dal sindaco di Cesarò, Calí, e dell’allora vice questore Daniele Manganaro (oggi primo dirigente in servizio a Carrara), l’uomo che durante l’agguato con il suo intervento salvò la vita all’ex presidente del Parco dei Nebrodi.
Durissima la conclusione scritta nel provvedimento di archiviazione che dovrebbe far fare un passo indietro a chi l’ha sostenuto con tanto vigore.
Il gip scrive come “le contestazioni mosse dalla Commissione non abbiano fornito utili o nuovi spunti investigativi, limitandosi ad introdurre la suggestione che non si sia trattato di un attentato quantomeno con modalità mafiose, o addirittura che l’attentato fosse una messinscena“, oppure che “… la maggior parte delle criticità sollevate dalla Commissione hanno trovato una giustificazione ragionevole e comunque sostenibile“.
“Veritas Filia Temporis” ed ecco che nel fascicolo di questa seconda inchiesta appare un paragrafo che riguarda uno dei principali “complottisti” e cioè l’ex vice questore Mario Ceraolo.
Quest’ultimo, infatti, è stato indagato in tempi diversi dalla Procura di Messina, tra il 2017 e il 2019, per depistaggio e rivelazione di segreto d’ufficio.
Infine, ma non per ultimo, andrebbe mandato il fascicolo all’ordine dei giornalisti per verificare le ragioni che spinsero un collega de “L’Espresso” Franco Viviano a scrivere sull’attentato con quelle parole che, alla fine di due inchieste possiamo certamente definire, vere e proprie palle di fango contro gli uomini dello Stato.