Giustizia, Polverini condannata a 9 mesi. Faceva spese con la carta dell’Ugl (a sua insaputa)

La deputata di Forza Italia usufruiva di una prepagata, con 2 mila euro di importo ogni mese. “22 mila € per spese personali”. La legale: “Non usò quei soldi”

VITERBO – Renata Polverini è stata condannata a 9 mesi per appropriazione indebita per fatti risalenti al 2014.

L’attuale deputata di Forza Italia era a processo dal 2016, accusata – si legge sul Fatto Quotidiano – di aver utilizzato a scopo personale, fra il 2013 e il 2014, una carta prepagata che veniva ricaricata mensilmente da un conto del sindacato Ugl. L’ex governatrice del Lazio e prima ancora leader nazionale nel sindacato di destra, secondo i giudici era arrivata a spendere – si legge nel campo d’imputazione – “un importo complessivo di oltre 22 mila euro (…) per impieghi di carattere strettamente personale (viaggi, borse, capi di abbigliamento e simili)”. Polverini dovrà anche risarcire per 25 mila euro la Confederazione Nazionale Ugl e per 5 mila euro la Confintesa Fp, presentatisi come parti civili.

A quanto si apprende dalle motivazioni della sentenza del Tribunale di Roma, depositata
il 29 dicembre 2021, la carta che gli inquirenti ritengono fosse stata utilizzata da Polverini veniva ricaricata di 2 mila euro al mese, su disposizione dell’allora segretario Giovanni
Centrella (estraneo all’inchiesta), particolare quest’ultimo “precisato e ribadito” durante
il processo dall’addetta alla contabilità del sindacato. Le carte in realtà erano due: la seconda, da 3 mila euro al mese, era in uso all’ex dirigente Ugl Stefano Cetica, a processo insieme a Polverini ma assolto per insufficienza di prove: Cetica, a differenza dell’attuale deputata in quel momento ricopriva ancora un incarico all’interno del sindacato (cosa che giustificava il “rimborso spese”) e aveva effettuato numerosi prelievi in contante.

Per questo motivo, scrivono i giudici, “non ci sono elementi probatori” nei suoi confronti sebbene la sua gestione dei fondi venga definita “allegra”.

Nelle motivazioni vengono elencate alcune delle spese “personali” che, secondo i giudici,
furono effettuate da Polverini a carico del sindacato. C’è ad esempio “l’acquisto di un capo di abbigliamento per euro 215 euro (…) presso un negozio di abbigliamento del marchio Max Mara di via Condotti”, centralissima via dello shopping capitolino, “il cui scontrino era stato abbinato (…) alla ‘scheda cliente Polverini’ ”. Ci sono, poi “spese voluttuarie –si legge – dal 4 luglio al 10 luglio 2013, in concomitanza della presenza ”di Polverini e Cetica a New York, ove si erano dichiaratamente recati, insieme, per un viaggio di piacere”.

La carta fu utilizzata anche a Parigi a maggio e giugno 2013.

Polverini ha sempre negato – si legge su Il Fatto – di aver mai utilizzato quella carta prepagata, dicendo che in realtà era in uso a Cetica. “Centrella mi disse che aveva pensato a questo sistema per rimborsare i vari responsabili del sindacato –ha spiegato a verbale l’attuale
deputata, in quel momento difesa dall’avvocato Francesco Scacchi – La carta di credito (…)
non era nella mia disponibilità. Mi risulta che fosse nella sede dell’Ugl (…) e a disposizione di
Stefano Cetica, in quanto responsabile della struttura (…). Non posso escludere che qualcuno abbia utilizzato la carta mentre si trovava in mia compagnia in qualche negozio. Escludo di averla utilizzata io (…) ”. E ancora: “Quello che sapevo era che Cetica utilizzava quella carta per rimborsare anche alcune mie attività a sostegno del sindacato”. Anche Cetica ha confermato la versione di Polverini, sostenendo di aver utilizzato entrambe le carte.

Il giudice tuttavia, non ha creduto a questa versioni. Nella sentenza di parla di “stringate e bizzarre dichiarazioni” da parte di Polverini e di un Cetica che “cerca maldestramente di immolare sé stesso in difesa della Polverini (…) con una protervia che ha più volte sfiorato l’auto-calunnia”.

La legale di Polverini annuncia di aver già preparato un ricorso in appello di oltre 50 pagine “evidenziando – dice l’avvocato –le prove che non sono state correttamente valutate dal giudice di primo grado. Non li usò quei soldi“.