Dopo le deposizioni di Caci e Fiordomi (che hanno zittito il pm) il 10 novembre mega udienza tutta dedicata all’esponente di Forza Italia
MONTALTO DI CASTRO – Ieri mattina è andata in scena la penultima udienza del processo per peculato a carico del sindaco uscente Sergio Caci; il liquidatore di Mastarna, Alessandro Fiordomi e l’ex presidente della Fondazione Vulci, Carmelo Messina.
A Messina sono contestati 36mila euro di spese, a Fiordomi, 55mila e a Caci 91mila euro.
I finanzieri della compagnia di Tarquinia, a conclusione di una complessa attività investigativa in materia di reati contro la pubblica amministrazione (condotta nei confronti della Mastarna srl e della Fondazione Vulci), totalmente partecipate dal comune di Montalto di Castro, che si sono occupate in questi ultimi anni della gestione del Parco naturalistico e archeologico di Vulci.
Giova ricordare che Vulci è uno dei siti più importanti dell’Etruria meridionale.
Le Fiamme Gialle hanno agito su delega della procura della Repubblica di Civitavecchia (che aveva ricevuto un esposto) che aveva portato all’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal gip del tribunale ordinario di Civitavecchia.
Sequestro beni patrimoniali, disponibilità finanziarie su conti correnti e polizze assicurative per un totale complessivo di oltre 182mila euro e tutt’oggi attivi.
Il processo però, come spesso accade, ha mostrato l’altra medaglia della storia. Assai diversa e le difese hanno demolito, passo dopo passo, una ad una, tutte le contestazioni che spaziavano dall’acquisto di olio extravergine di oliva, spese funebri, alberghi, numerosissimi pranzi e cene cui partecipavano anche esponenti del comune di Montalto con addebito dei conti sulla Fondazione Vulci o sulla Mastarna. Oppure caffè e le bibite dei distributori automatici installati negli uffici dei citati enti venivano spesati con i fondi pubblici.
La Corte dei Conti ha già mandato in soffitta l’inchiesta perché quello che i finanzieri avevano contestato era regolarmente in bilancio e nei registri dei corrispettivi.
Veniamo al processo di ieri.
Sergio Caci, l’esponente politico che più di altri ha pagato lo scotto del sequestro preventivo, ha offerto al giudice la volta scorsa il primo colpo di scena presentandosi con l’agenda elettronica del sindaco dove sono minuziosamente segnati tutti gli appuntamenti da lui effettuati in forma istituzionale dal 2012 ad oggi.
Ad ogni contestazione una spiegazione. Dettagliata. Documentata e facilmente riscontrabile.
Dal pranzo con Alberto Angela che poi ha dedicato una puntata di Quark al Parco di Vulci alla gita dei bambini delle scuole elementari per un evento di solidarietà a Roma. Dalla maratona corsa dentro il parco archeologico al passaggio dei ciclisti del Giro d’Italia con telecamere al seguito. Insomma non una sola spesa personale. Non un centesimo speso senza una giustificazione corredata da pezzi di carta reali e non presunti. Dalla promozione sui quotidiani nazionali, alle riviste di archeologia di tutto il mondo per finire alle trasmissione televisive più suggestive e conosciute sia in Italia che in Europa. Poi mostre. Tante e di primissimo ordine.
In termine tennistico il sindaco Caci ha ottenuto sul campo un 6-0 6-0 a suo favore e davvero imbarazzante per l’accusa.
Stessa cosa il liquidatore di Mastarna, Fiordomi. A lui è stata contestata, ad esempio, una spesa di 6 euro per l’acquisto di acqua minerale che Mastarna, come dimostrato, ha offerto ai volontari della Protezione Civile che, sotto lo scoppio del sole, stavano garantendo la viabilità di un evento sportivo.
Oppure 60 euro di caffè ed acqua acquistati per essere usati dai dipendenti dell’amministrazione in ufficio durante l’orario di lavoro visto che di bar nelle vicinanze non ce ne sono. Meglio ancora i pranzi e le cene offerte agli studenti delle università londinesi e italiane impegnati, gratuitamente, negli scavi tutt’oggi in corso, anch’essi tutti a spese delle università.
Evidente l’imbarazzo del giudice ma anche il nervosismo del pubblico ministero che si è ritrovato a dover gestire un processo davvero difficile.
Il momento del presidente della Fondazione Vulci, Carmelo Messina, è stato rimandato al 10 novembre prossimo dopo un duro confronto tra il pubblico ministero e i suoi avvocati.
Già perché l’accusa avendo di fatto perso due imputati su tre non vuole lasciare scampo al presidente della Fondazione, Messina, al centro nei giorni scorsi di una dura polemica con il sindaco Caci per il maxi compenso da 60mila euro all’anno che il manager si faceva pagare dall’ente per il suo operato. Polemica legata al fatto che tutti, fino a qualche giorno fa, pensavano che Messina ricoprisse quel ruolo a titolo gratuito e che il compenso, oggettivamente, fosse un po’ troppo elevato visto che l’attuale presidente della Fondazione agisce a titolo gratuito. Parentesi a parte, proprio Messina è l’unico che rischia oggettivamente una condanna per peculato.
Parliamo di una storia di per sé assurda ma l’unica delle tante contestazioni a lui mosse.
Infatti, come gli altri, ha la possibilità di dimostrare che le spese effettuate fossero tutte realmente e oggettivamente per soli scopi istituzionali.
L’unico neo la spesa sostenuta per il funerale di un dipendente della Parco di Vulci evidentemente indigente. Seppure il gesto compiuto dalla Fondazione di spesare totalmente il funerale dell’ex dipendente è stato nobile come fine non può essere giustificato in alcun modo dal punto di vista amministrativo. Tutti i dipendenti della Fondazione e del Parco (corna facendo) se passasse questo concetto, avrebbero diritto ai propri funerali spesati dall’ente gestore. Cosa tutt’altro che logica e che potrebbe costare, proprio per questo, la condanna per peculato all’ex presidente.
Il 10 novembre sarà dunque un’udienza solitaria dopo di che si andrà alle conclusioni e sentenza.
Caci e Fiordomi hanno dimostrato, carte alla mano (davvero tante) che spesse volte prima di chiudere frettolosamente le indagini ed iniziare i processi, sarebbe il caso di interrogare gli indagati. Cosa fatta solo in fase dibattimentale.
Loro avrebbero evitato scandali gratuiti e polemiche sui giornali e lo Stato non avrebbe speso soldi su un processo ormai già abbondantemente segnato e scontato per il suo naturale epilogo.