Tarquinia – Draghi colpisce gli oligarchi che amano la nostra terra. Ecco gli atti della chiesa di Sant’Antonio

Ridicole sanzioni alla chiesa ortodossa che ospita e aiuta famiglie ucraine scappate dalla guerra

TARQUINIA – Al ridicolo non c’è mai fine. Draghi e le sanzioni alla Russia oltre a ridurre alla fame gli italiani (la benzina sopra i 2,2 euro) hanno finito con il colpire anche i luoghi di culto e solidarietà.

Si colpisce la Chiesa Ortodossa che ospita e aiuta i profughi ucraini e si lasciano libere le OGN di scorrazzare per il Mediterraneo con centinaia di sbarchi incontrollati tutti i giorni.

Il caso Tarquinia e della chiesa di Sant’Antonio dovrebbe far riflettere.

 

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ATTO ROTEMBERG

 

Ville nell’esclusiva Costa Smeralda, hotel di lusso nella principali città italiane e mega yacht attraccati nei porti del Bel Paese. Fino a ieri erano questi i beni che venivano sequestrati agli oligarchi russi in Italia, nell’elenco però adesso bisogna inserire anche una chiesa. Parliamo della struttura ortodossa di Sant’Antonio a Tarquinia (Viterbo). Il luogo di culto appartiene ad uno degli uomini più vicini al presidente russo Vladimir Putin, Arkady Rotemberg. Il magnate, attraverso un contratto di comodato d’uso che Etrurianews pubblica in esclusiva, ha affidato l’immobile ad un’associazione culturale senza scopo di lucro. Ma c’è di più perché all’interno della struttura, gestita da padre Avel, alloggiano profughi ucraini.

È il febbraio del 2020 quando Rotemberg e Elena Antipova, cinquantunenne russa presidente e legale rappresentante dell’Associazione Sant’Antonio Abate di Tarquinia, trovano l’accordo, della durata di 30 anni, per il comodato d’uso del bene. Per la precisione le strutture sono due: «L’appartamento di via XX settembre con piano interrato, terra, primo e secondo piano, e un magazzino al piano terreno con accesso da Piazza Belvedere».

Sempre nella prima pagina dell’atto si legge qual è lo scopo alla base del contratto: «La comodataria (l’associazione culturale Sant’Antonio Abate di Tarquinia, ndr) si servirà del bene sopra descritto, con la dovuta diligenza, esclusivamente per uso conforme alla destinazione dello stesso e per i fini indicati nello statuto associativo volti alla promozione dell’opera di beneficienza della religione ortodossa e quale luogo di ritrovo per gli ortodossi».

 

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ATTO GOLOSH

 

Le sorprese non sono finite perché scorrendo l’atto notarile si trova l’apostille, certificazione che convalida internazionalmente il documento. A pagina sei si legge: «Il presente documento ufficiale è stato certificato nella città di Mosca da R. R. Klopzov, vice direttore della Direzione generale del Ministero della Giustizia della Federazione Russa». A margine del foglio si nota anche il timbro del dicastero russo. Nelle carte si trova pure l’accordo originale scritto nella lingua di Čechov e Dostoevskij.

Il legame tra la chiesa di Tarquinia e la comunità russa ha origini lontane, come spiega il sindaco Sandro Giulivi: «Ricordo che circa 20 anni fa, quando i russi ne sono entrati in possesso, la struttura di Sant’Antonio era in totale stato di abbandono. Risale al 1200, quindi può immaginare in che condizioni si trovasse. Nel corso del tempo hanno fatto un ottimo lavoro, dato che si sono occupati interamente del restauro».

Così parla padre Avel, sacerdote ortodosso, che vive da anni a Tarquinia: «Ho saputo quello che è successo leggendo i giornali italiani. Una situazione molto difficile anche perché mi trovo in Russia per vacanze».

Quante persone sono ospitate dalla vostra struttura?

«In questo momento sono 14, tra loro quattro sono bambini, di cui uno con un anno appena. Le camere sono molto piccole, alcune sono di otto metri appena, e c’è solo una cucina a disposizione, insomma le condizioni non sono agevoli, però andiamo avanti. Ovviamente c’è chi è arrivato dopo lo scoppio del conflitto. Consideri che l’80 per cento della comunità che frequenta la nostra parrocchia è formata da ucraini. Alcuni vivevano in Italia prima che scoppiasse la guerra, dal 24 febbraio sto cercando di fare il più possibile. Sicuramente da sette anni, ovvero da quando sono arrivato a Tarquinia, è il momento più duro. Non è facile in Italia per gli ortodossi avere una struttura dove poter pregare. Infatti fra noi, oltre agli ucraini e ai russi, ci sono georgiani, moldavi e anche italiani».