L’autore del gesto, così come i vertici dell’ente che hanno minimizzato l’accaduto, rischiano di finire sul registro degli indagati. Chissà se, nel frattempo, si è capito se Iarlori potesse o meno fare politica attiva dal proprio ufficio
CIVITAVECCHIA – La donna “spiata” in uno degli uffici della Civitavecchia Servizi Pubblici ha sporto denuncia presso il Commissariato di Polizia.
La notizia ci è stata confermata dall’avvocato della donna, Roberto Immediata con il quale abbiamo avuto modo di parlare direttamente.
Secondo quanto affermato dal legale “L’istruttoria ancora non si è conclusa e sto aspettando di avere tutte le carte. Credo, con molta probabilità, di procedere alla richiesta di verifica peritale ed eventualmente ricorrere ad un perito di parte”.
Come i nostri lettori ricorderanno il presidente dell’ente, Fabrizio Lungarini, ha molto minimizzato l’episodio ed anzi, per tutta risposta, coadiuvato dal coordinato del circolo “Giorgio Almirante” di Fratelli d’Italia (così si definisce Paolo Iarlori detto il “prete”), hanno iniziato una vera e propria caccia alla talpa che, secondo loro, avrebbe dato in pasto la notizia mettendo in cattiva luce il management e il “prete” stesso.
Già, al dipendente “guardone” (tutto ancora da dimostrare), è stata inflitta la sospensione dal lavoro di un giorno anche se, per sua stessa ammissione, aveva il controllo in remoto di tantissime altre telecamere.
Ma è reato spiare un dipendente al lavoro? Assolutamente sì. L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori regolamenta l’uso della videosorveglianza nei luoghi di lavoro e lo confina solo ai casi in cui ciò sia necessario per salvaguardare il patrimonio aziendale, per tutelare la sicurezza dei lavoratori o per far fronte ad esigenze produttive o organizzative.
In questi casi, l’installazione delle telecamere può avvenire solo previo accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, su autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Ed in ogni caso è necessaria l’affissione di appositi cartelli che avvisino i dipendenti della presenza della videosorveglianza.
Fuori da questi casi, è reato spiare un dipendente al lavoro. Non si possono quindi usare le telecamere per verificare la prestazione lavorativa ossia se i dipendenti lavorano e con quanta solerzia e diligenza lo fanno.
Il datore di lavoro che installa una telecamera senza le prescritte procedure può quindi essere denunciato. A ricordarlo è anche la Cassazione secondo cui tale condotta non è stata depenalizzata neanche dalla recente riforma del lavoro.
Secondo la Corte, resta reato per il datore spiare attraverso le telecamere i dipendenti al lavoro. E il merito è del decreto legislativo 151/15, uno dei provvedimenti attuativi del Jobs Act, che come normativa sopravvenuta ha mantenuto integra la sanzione per la violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori: sussiste continuità normativa fra la fattispecie abrogata e quella oggi prevista dall’articolo 171 in relazione all’articolo 114 del decreto legislativo 196/03.
Ci sono solo due casi in cui spiare un dipendente al lavoro non è reato. Il primo è quello dei cosiddetti controlli difensivi in senso stretto. Si tratta delle ipotesi in cui vi siano, a carico di un dipendente, dei fondati sospetti di commissione di un grave illecito o di violazione del contratto. Si pensi al lavoratore sorpreso a rubare o a uscire dall’ufficio prima dell’orario, a timbrare il badge di un collega, a chattare al computer piuttosto che lavorare e così via.
In questo caso, si è addirittura arrivati a dire che la telecamera puntava all’esterno, poi che fosse staccata. Insomma, reato c’è ed è stato denunciato. Così come sono state denunciate le presunte pressioni subite dalla dipendente per ritrattare quanto aveva precedentemente denunciato spedendo la mail ai vertici dell’azienda.
Mail che ha suscitato l’attenzione solo per sapere chi è quando qualcuno dei nominati intestatari della stessa ha fatto in modo che la cose diventasse di dominio pubblico.
Nel frattempo, il responsabile del personale e coordinatore del circolo di Fratelli d’Italia, il camerata Paolo Iarlori, durante le pause pranzo, si diletta a fare riunioni politiche in video conferenza. In questo caso però, a quanto pare, l’attività politica di Iarlori aveva avuto il via libera dal presidente Lungarini che dichiarò, chiamato da noi a rispondere sulla vicenda, era informato della cosa.
Sapeva quindi che Iarlori, durante la pausa pranzo (dicono loro) poteva tranquillamente esercitare l’attività politica senza violare il regolamento interno a CSP.