CAPODIMONTE – Pesca del coregone agli sgoccioli. La presenza di questo pesce nei laghi di Bolsena, Vico e Bracciano si fa sempre più rara e, di conseguenza, sempre più di frequente accade che anche nei ristoranti dei centri lacuali, il ben noto e apprezzato pesce non si trovi disponibile e ciò non è certo quello che ci si aspetta dalla gastronomia lacustre.
Una situazione sempre più preoccupante che deve essere affrontata e risolta, da una parte con l’ausilio delle scienze ecologiche e dell’altra in considerazione delle ragionevoli motivazioni sociali ed economiche, legate in primo luogo alla professione dei pescatori.
Di questo problema si è parlato nel corso del convegno “Il futuro della pesca professionale nelle acque interne”, con particolare riguardo ai laghi del Lazio, organizzato dal Comune di Capodimonte in collaborazione con il Museo della Navigazione nelle acque interne che si è svolto sabato scorso presso le scuderie Farnesiane.
All’origine della sospensione delle semine del coregone nei laghi italiani c’è una direttiva dell’Unione europea (92/43/Cee) di circa trent’anni fa, riguardante la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, che è stata recepita da tre anni a questa parte dal Ministero dell’ambiente con il decreto del 2 aprile 2020, relativo ai criteri per la reintroduzione e il ripopolamento delle specie di popolazioni non autoctone. E così, poiché il coregone non è autoctono, cioè non è presente nei laghi italiani da tempi immemorabili, è quindi da considerare specie “aliena” e quindi non è più possibile immettere nei bacini idrici gli avannotti attraverso semine artificiali.