Civitavecchia – Ammiragli condannati. La morte del nocchiere dell’Amerigo Vespucci poteva essere evitata

CIVITAVECCHIA – Tutti condannati – seppur a pene lievi, con la sospensione condizionale – gli imputati finiti a giudizio per la morte del nocchiere dell’Amerigo Vespucci Alessandro Nasta, dall’allora comandante della nave scuola ai capi di stato maggiore che all’epoca dei fatti si alternarono al vertice della Marina Militare, passando per l’allora capo della squadra navale.

Così ieri, a Civitavecchia, la fine del processo per concorso in omicidio colposo a motivo della mancata adozione di idonee misura di sicurezza per fronteggiare il rischio-cadute nella manovre alle vele.

In tanti anni di onorata carriera, sulla nave scuola Amerigo Vespucci, varata nel 1930, mai prima del 24 maggio del 2012 era successo che un nocchiere o un allievo dell’Accademia navale perdesse la vita precipitando dall’albero di maestra della nave scuola. Capitò al povero Alessandro Nasta, 29 anni, impegnato – smontante dalla guardia ma volontario su chiamata – nelle manovre in ’coffa’: precipitò sul ponte da 54 metri di altezza, mentre la nave era in navigazione al largo di Civitavecchia, dopo la partenza dalla base navale spezzina. La sentenza del giudice Vittoria Sodani ha stabilito che i sistemi di sicurezza – ossia le linee vita per accompagnare passo passo la salita dei marinai sui pennoni – dovevano entrare in funzione prima dell’incidente, in applicazione delle norme sui lavori in quota, risalenti al 2008. Il piano per la messa in opera era stato abbozzato ma era stato rallentato dalla forza della tradizione marinaresca e dalle lungaggini per la fruibilità delle risorse necessarie a dare corso al restyling nell’attrezzatura. Sui rapporti fra forza della consuetudine, contenuti della legge e peculiarità del Vespucci si sono giocate le sorti processuali dei quattro imputati eccellenti. Ha prevalso la tesi dell’accusa e dei legali di parte civile: gli imputati sono stati inadempienti rispetto alle prescrizioni normative.

Di qui, come richiesto dal pm Faderica Matarazzo, la condanna ad un anno e 10 mesi di reclusione del comandante della nave scuola Domenico La Faia (in qualità di datore di lavoro diretto) e alla pena più lieve di un anno 2 mesi dei superiori coimputati che avrebbero dovuto fornigli indicazioni e mezzi per applicarere la legge sui lavori quota: gli ex capi di stato maggiore della Marina Bruno Branciforte e Luigi Binelli Mantelli e l’ex capo della Squadra navale all’epoca dei fatti Giuseppe De Giorgi. In parallelo è stato riconosciuto il diritto dei genitori e della sorella di Alessandro ad ottenere il risarcimento dei danni (la provvisionale è di 80mila euro ad ognuno.

“Finalmente è stata fatta giustizia” il commento della mamma Marisa Toraldo ad epilogo della sua pressante azione, a mezzo social, per onorare la memoria del figlio e tutelare tutti i marinai. La sua gratitudine va agli avvocati di parte civile Massimiliano Gabrielli e Alessandra Guarini e al sottufficiale spezzino Emiliano Boi che ha partecipato ad ogni udienza, con un motivo preciso: “Sento in cuor mio di rappresentare la Marina”. “Questa coraggiosa sentenza – dicono i legali – afferma definitivamente il principio che il risparmio sulla sicurezza non conviene, mai ed a nessuno. Anche se sei un Ammiraglio di Stato Maggiore o il Comandante della nave più bella del mondo”.

Scrive Corrado Ricci sulla Nazione