VITERBO – Riceviamo e pubblichiamo – “Il prezzo dei cereali continua a calare e in particolare quello del grano duro: come già da me denunciato poche settimane fa, noi agricoltori abbiamo sostenuto costi mai visti prima e ora temiamo che il nostro lavoro e i nostri investimenti non avranno remunerazione e anzi che si finirà per andare in perdita, soprattutto nelle campagne del centro-sud, Tuscia compresa. Un calo dei prezzi alla produzione che per il grano duro è di fatto già ben oltre il 40%, mentre i prezzi al consumatore di pasta ma anche di altri prodotti continuano a registrare aumenti o a rimanere stabili. Servono immediatamente maggiori controlli alle dogane, reciprocità nelle regole di coltivazione agronomiche e sul lavoro per le produzioni importate, valorizzazione della qualità e del prodotto italiano, filiere che non possono essere considerate da qualcuno solo come un’opzione. Ricordo che nel 2010 nel viterbese si coltivavano 60.000 ettari di grano duro e che nel 2021 si era già passati a soli 20.000 ettari, alcuni dei quali probabilmente sono stati convertiti a noccioleto, molti altri semplicemente abbandonati e ora in parte convertiti alla produzione di energie rinnovabili. Riscaldamento globale e sempre maggiori difficoltà a fare produzioni sia sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo, presenza di fauna selvatica ormai oltre il limite della sicurezza fisica per chi opera nelle campagne e portatrice di danni mai risarciti, mercati affatto liberi e certamente pilotati, prospettive di cibo sintetico nel futuro, ambientalisti che fanno di un’ottusa ideologia la loro bandiera, Unione Europea che decide di fare gardening invece di agricoltura tagliandoci risorse e regalandoci vincoli: se non si prenderanno rapidi provvedimenti, sarà inevitabile nei prossimi mesi un ulteriore abbandono dei campi coltivati a favore di quelli convertiti alla produzione di energia fotovoltaica o agri-fotovoltaica. Comincio a pensare che non sia nemmeno un caso tutto questo che sta accadendo, evidentemente le nostre terre fanno gola ai grandi investitori internazionali e con le buone o con le cattive ci vogliono fuori dai piedi. Pasolini disse che una volta morto l’ultimo agricoltore, sarebbe finita anche la storia e la cultura di un territorio e di un popolo; per la Tuscia tutto questo vorrebbe dire anche rinunciare ad una parte essenziale della sua economia, del suo paesaggio, della sua autonomia, delle sue irrinunciabili prospettive future”.
Remo Parenti Presidente Confagricoltura Viterbo-Rieti