Violenza sulle donne e in gravidanza, qualcosa che fa orrore e sconcerta ma che esiste, è proprio l’Oms a stimare che nel mondo 1 donna su 4 sia stata vittima di una forma di violenza in gravidanza, fenomeno ancora sottostimato e sommerso che incide sulla salute psicofisica della donna, del feto e del neonato, di cui abbiamo parlato con la criminologa Tonia Bardellino, docente di sociologia della devianza e della criminalità.
“Purtroppo la violenza contro le donne non si ferma neanche durante un momento per antonomasia “magico “ e i fatti di cronaca lo palesano. Esistono ancora molti stereotipi come il pensiero che la violenza domestica (anche in gravidanza) si manifesti in contesti familiari culturalmente ed economicamente “poveri”. Purtroppo, i dati statistici e la cronaca non confermano: la violenza domestica è un fenomeno trasversale e coinvolge qualsiasi ceto sociale, anche in assenza di abuso di droga o alcol. La gravidanza e/o altri fattori socioculturali non solo non fermano la violenza ma la possono scatenare”.
La gravidanza come ostacolo
“Gli uomini violenti, abituati a vivere il rapporto come un possesso, spesso vedono il bambino come un oggetto che si interpone fra loro e la partner. Senza contare che, a volte, quel bambino è frutto a sua volta di una violenza.
La donna che viene maltrattata e percossa in gravidanza può rischiare di mettere alla luce un figlio con malformazioni e pagare doppiamente anche in termini psicologici. Tanto che molte vittime dichiarano di non voler più rimanere incinta e di voler evitare rapporti sessuali.
Provare a resistere, come accaduto ad esempio alla giovane di Terni sperando che il problema del partner sia temporaneo, che dopo il parto le cose magari si aggiusteranno da sole, è un’idea purtroppo inverosimile. L’uomo violento non cambia specie all’improvviso, come per magia.
Dopo la nascita di un figlio, per la donna diventa oltretutto più difficile recidere i legami, liberarsi.
Gli uomini violenti spesso usano i figli come strumenti di ritorsione contro le loro vittime. Non serve a nulla illudersi, mentire a se stesse, bisogna invece affrontare la realtà e riconoscerla per quel che è. Invito le donne in questa situazione a riflettere: la violenza verbale, lo spintone ricevuto non sono gesti irrilevanti e fatti in un momento di stress. Sono maltrattamenti, sono violenza. E la violenza non è mai giustificabile. Si parte dalle parole aggressive per giungere giungere a certi famigerati femminicidi“.
Donne “paralizzate”
“Ci chiediamo perché le donne non reagiscono, non se ne vanno a causa di una molteplicità di fattori (individuali, relazionali, economici, culturali e istituzionali) che creano quelle fitte maglie della rete che le blocca nella relazione maltrattante. Tra tutti questi fattori un’attenzione particolare va rivolta al potere paralizzante della violenza psicologica: quella forma di violenza che, per prima, in maniera subdola e senza far rumore, s’inserisce in punta di piedi all’interno della relazione; quella forma di violenza che è responsabile della paralisi delle donne maltrattate, e quindi è causa della loro mancata ribellione. È la violenza psicologica che crea quel terreno in cui il seme della violenza fisica può attecchire, affondare le sue radici e crescere, crescere d’intensità e frequenza in un’escalation che può arrivare al maltrattamento di una donna incinta e/ o a femminicidi come quello di Giulia Tramontano. Impagnatiello non è l’eccezione purtroppo.
nell’efferatezza crudele del suo delitto si vede tutta la banalità del male. È uno tra i tanti uomini senza morale e senza rispetto per nessuno. Uno tra quelli che possono anche essere capaci a livello professionale, sembrare normali, e che in un momento innesca l’omicidio. Persone con problemi psichici, malate della sindrome del possesso, incapaci di gestire un abbandono e di veder messa in dubbio la loro presunta superiorità maschile“.