ROMA – Due vittorie sotto il profilo giudiziario permettono alla Ipab Ambrogio Fonti, amministrata dall’Asilo Savoia, di recuperare la palazzina di via Ripetta 234 e destinare le nuove risorse al «dopo di noi», storica mission dell’istituto.
Il presidente dell’Asilo Savoia, Massimiliano Monnanni, si libera così di inquilini privilegiati e scarsamente remunerativi che, dai primi del Duemila, avevano occupato l’edificio a poco più di 400 euro mensili ciascuno. Le vittorie alle quali si accennava sono rappresentate da una sentenza della Corte dei Conti (giudice Tommaso Miele) che ha condannato l’inerzia del commissario Iacopo Scè e un pronunciamento del Consiglio di Stato che ha avallato le mosse giuridiche dei vertici Ipab contro i privati in questione. Prima, però, converrà riepilogare la vicenda, una mescolanza di familismo e arroganza politica che la rendono unica nel suo genere.
Nell’estate 2021 una serie di documenti depositati alla Procura regionale della Corte dei Conti (all’epoca guidata da Pio Silvestri) portano alla luce la curiosa storia del civico 234 di via Ripetta. Nel 2006, infatti, il commissario Ipab dell’epoca — l’onorevole democristiano Carlo Ciocci — aveva assegnato il grazioso fabbricato tra piazza del Popolo e piazza Augusto Imperatore ai propri familiari (fratello, cognata, nipoti) alla cifra amicale di 400 euro mensili per 80 metri quadri o giù di lì. Passa il tempo, cambia l’amministrazione dell’Ipab ma i Ciocci resistono, grazie anche al fatto che il commissario nominato — Scè — nulla fa per recuperare il patrimonio in questione e metterlo a frutto.
Scè non diffida, non denuncia, non bussa ad alcun studio legale. Oggi la sentenza che lo condanna a risarcire 73mila euro, pari ai mancati introiti causati dall’intervenuta prescrizione, punta il dito proprio sulla sua inerzia. Il danno erariale, scrivono i giudici, «è ascrivibile al convenuto che con la sua inerzia gravemente colposa ha omesso di presentare la denuncia di danno erariale o quanto meno di porre atti interruttivi della prescrizione».
Non è tutto in questa storia di privilegi a spese dello Stato. Perché una seconda inchiesta della Corte dei Conti potrebbe ora far luce sul danno complessivo (pari a circa 300mila euro) causato dalla «tolleranza» dimostrata nei confronti dei Ciocci. É ragionevole pensare che possa essere chiamato in causa anche l’architetto Anton Giulio Ciocci che da commissario regionale dell’Opera Pia, in formidabile conflitto di interessi, permise ai suoi parenti di accomodarsi in pianta stabile all’interno della palazzina del Tridente.
I Ciocci, nel frattempo, hanno trovato un accordo con i vertici regionali e andranno via entro qualche settimana.
L’Ipab può così progettare un intervento manutentivo che restituisca alla facciata parte dello smalto perduto nel tempo. Per Monnanni questo significa rilanciare l’attività del «dopo di noi» secondo una strategia complessiva: «Già nel 2022 — fa sapere — abbiamo recuperato a fini sociali uno dei 4 immobili di via Forte Braschi a sede di comunità per il durante e il dopo di noi». Il futuro sociale della Ipab è appena cominciato.