CSA di Castelforte, autorizzazioni all’ampliamento illegittime

Adesso andrebbero valutate le posizioni di quei dirigenti che ostinatamente hanno continuato ad autorizzare ben conoscendo le irregolarità

CASTELFORTE (LT) – Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5537 del 25 giugno 2025, ha respinto il ricorso per revocazione promosso dalla Regione Lazio contro la decisione che aveva già annullato l’autorizzazione all’incremento della capacità di trattamento dei rifiuti per l’impianto di C.S.A. – Centro Servizi Ambientali S.r.l.

Il giudice amministrativo ha confermato quanto già stabilito con la sentenza n. 7208/2024: gli impianti TM (trattamento meccanico, privo della componente biologica) non rispettano le BAT europee del 2018 e non possono essere autorizzati per il trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati. Inoltre, ha ritenuto infondata la tesi della Regione secondo cui l’impianto CSA sarebbe stato incluso nel Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti: nessun errore di fatto, solo una valutazione giuridica già affrontata nel merito.

Accanto alla questione tecnica e giuridica, una ricostruzione interna al settore getta luce su un possibile disegno più ampio. Secondo alcune fonti, gli impianti TM – fra cui CSA, Refecta (Cisterna di Latina) ed Ecosystem (Pomezia) – sarebbero stati autorizzati in un raggio di 15–18 chilometri intorno all’impianto gestito da RIDA Ambiente S.r.l., configurando uno scenario competitivo fortemente sbilanciato.

La nascita del “sistema TM” sarebbe legata alla nomina di Flaminia Tosini alla direzione regionale rifiuti, subentrata dopo l’arresto dell’ex dirigente Luca Fegatelli nel 2014. Il contesto – si sostiene – era segnato dalla necessità di ristrutturare il sistema impiantistico regionale, ma alcune scelte avrebbero finito per favorire operatori considerati più allineati agli equilibri consolidati, penalizzando al contrario chi si poneva su posizioni indipendenti.

Una dinamica che – stando a quanto riferito da figure che conoscono da vicino le relazioni tra politica e impresa nel settore – avrebbe finito per tutelare interessi legati alla galassia Cerroni, storico dominus della gestione rifiuti nel Lazio, e a Valter Lozza. Non solo: alcuni impianti TM, pur non rispondendo agli standard normativi, avrebbero potuto smaltire i rifiuti nei bacini finali di proprietà di questi gruppi, mentre altri operatori, seppur tecnologicamente conformi, venivano di fatto esclusi dal circuito regionale.

Il Consiglio di Stato ha quindi chiuso il cerchio giuridico: niente ampliamento per CSA, nessuna deroga possibile alle regole tecniche, condanna della Regione al pagamento di 8.000 euro di spese legali a favore di RIDA Ambiente. E, sul piano sostanziale, la sentenza conferma che le scelte politiche e autorizzative del passato possono – e devono – essere sottoposte al vaglio della legalità e della trasparenza.

Un passaggio che segna un punto fermo, ma che, alla luce delle ricostruzioni che emergono dal settore, solleva interrogativi ancora aperti su come è stato disegnato l’assetto degli impianti nel Lazio negli ultimi anni.

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