Morte di Valeriano, la Procura di Roma apre un’inchiesta, disposta l’autopsia

“Il fatto certo – dice l’avvocato Antony Lavigna – è che il signor Valeriano è uscito dal carcere in coma, il resto è ancora tutto da capire”

ROMA – Tutti sapevano che stava male. Ma nessuno pensava che sarebbe finita così. Francesco Valeriano aveva 45 anni, veniva da Formia, una città che lo conosceva per il suo lavoro nei locali, per il sorriso facile, per la vita semplice.

È morto dopo mesi di agonia, iniziati dentro una cella del carcere romano di Rebibbia, dove sarebbe stato picchiato. È morto senza aver mai potuto raccontare cosa gli fosse successo davvero.

La sua è una storia che oggi lascia solo domande, silenzi e una sensazione di abbandono difficile da ignorare.

A ricostruire il dramma è l’avvocato Antony Lavigna, che rappresenta la famiglia ma prima ancora è stato un amico d’infanzia di Francesco. Da ragazzi giocavano insieme a pallone nella villa comunale di Formia. Poi la vita li aveva portati altrove: uno a studiare legge, l’altro a lavorare nei locali, a fare il cameriere, l’animatore, il dj. Ogni tanto una telefonata, gli auguri a Natale. Fino a luglio scorso, quando la famiglia Valeriano chiede aiuto. «Quello che ho scoperto – dice Lavigna – è stato allucinante».

Francesco era già in coma da giorni al Policlinico Umberto I di Roma. Ci era arrivato alla fine di giugno, trasferito d’urgenza dal carcere di Rebibbia. Aveva gravi lesioni alla testa e segni di violenza su tutto il corpo. Nessuno, né i familiari né il suo avvocato, è mai riuscito a ottenere una spiegazione chiara. Nessuno ha saputo dire cosa fosse successo in quelle ore decisive.

E soprattutto, nessuno ha mai ascoltato Francesco. Né quando era in coma, né quando si è risvegliato, nonostante i danni cerebrali gravissimi. Dal 29 giugno in poi, nessun investigatore ha raccolto la sua versione. Il tempo è passato, le condizioni sono peggiorate, la possibilità di sapere si è lentamente dissolta.

La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta, prima dopo una segnalazione della direzione del carcere di Rebibbia e poi su denuncia della famiglia. Ma tutto è rimasto coperto dal segreto istruttorio. Non si sa se Francesco sia stato picchiato da altri detenuti o da personale penitenziario. Non è stato disposto alcun incidente probatorio. Né il carcere né il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria hanno mai rilasciato una nota ufficiale.

A far emergere qualcosa, nei mesi scorsi, è stato il lavoro giornalistico di Fanpage, che da luglio 2025 ha seguito il caso, quando si seppe per la prima volta che un detenuto di Rebibbia era arrivato in ospedale in coma per lesioni gravissime. Ma anche in questo caso, ciò che si conosce arriva quasi esclusivamente dalle cartelle cliniche.

Un elemento decisivo è arrivato ieri dalle parole della senatrice Ilaria Cucchi: «Appena seppi del pestaggio contattai la direzione del carcere. Mi parlarono di una “violenta e imprevedibile aggressione”. È accaduto l’esatto opposto di ciò che dovrebbe accadere sotto la custodia dello Stato. Francesco Valeriano e la sua famiglia sono stati abbandonati».

Un’aggressione, dunque, c’è stata. Lo sapevano già la scorsa estate. Eppure Francesco, rimasto in vita fino a pochi giorni fa, non è mai stato ascoltato. Neanche con l’aiuto di un operatore. Un vuoto enorme, che pesa oggi più di ogni parola.

Francesco Valeriano era stato arrestato il 15 aprile con l’accusa di atti persecutori nei confronti dell’ex moglie. Aveva trascorso circa 40 giorni nel carcere di Cassino, poi il trasferimento a Rebibbia, senza spiegazioni note. Dopo poche settimane, il pestaggio. Tra il 29 e il 30 giugno il coma, il ricovero all’Umberto I, due mesi sospeso tra la vita e la morte. Poi il passaggio in Psichiatria, quindi il trasferimento all’Istituto San Raffaele di Montecompatri. La famiglia spera, aspetta, resiste.

Il 6 dicembre un nuovo trasferimento d’urgenza, questa volta al Policlinico di Tor Vergata. Le condizioni precipitano all’improvviso. Francesco muore alle 23.33 del 10 dicembre.

La Procura di Roma ha disposto il sequestro della salma. L’autopsia dovrà chiarire le cause della morte, ma anche se e quanto le lesioni subite in carcere abbiano portato a questo epilogo. L’avvocato Lavigna ha depositato una querela contro ignoti per morte come conseguenza di lesioni, che si aggiunge alla denuncia per lesioni gravi presentata a giugno. «Una cosa è certa – dice – Francesco è uscito dal carcere in coma. Tutto il resto è ancora da capire».

A Formia, in via Cassio, dove viveva con la sua famiglia, la notizia della morte ha lasciato un silenzio pesante. Francesco era uno di quelli che tutti conoscono, uno che lavora, che non fa rumore, che anima le serate degli altri.

Sulla vicenda è intervenuta anche l’OSAPP, il sindacato della polizia penitenziaria: «La morte di Francesco Valeriano è una sconfitta dello Stato. Nessuno dovrebbe entrare in carcere per scontare una pena e uscirne in una bara dopo mesi di agonia».

Ora restano l’autopsia, l’inchiesta, le attese. Ma una verità è già davanti a tutti: Francesco Valeriano è morto mentre era sotto la custodia dello Stato. E il silenzio che circonda la sua storia pesa quasi quanto le ferite che non gli hanno lasciato scampo.

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