ROMA – La cancelleria del Tribunale del Riesame di Roma ha comunicato agli avvocati di Giovanni Moscherini e Vincenzo De Francesco che la loro posizione sarà discussa lunedì prossimo, 4 aprile, ore nove. Subito dopo l’interrogatorio di garanzia, infatti, il professor Carlo Taormina, d’accordo con Pierluigi Bianchini e Matteo Mormino, aveva inoltrato istanza al Riesame conscio del fatto che il Gip, Massimo Marasca, sicuramente non avrebbe cambiato posizione rispetto all’ordinanza di custodia emesso qualche giorno prima a carico dei due indagati.
In queste ore, gli avvocati, stanno preparando le memorie difensive e una importante documentazione cartacea, soprattutto relativa alla società Romanacav srl per smontare, pezzo per pezzo, quell’ordinanza firmata l’11 marzo scorso e che tanto clamore ha prodotto a Civitavecchia ma non solo.
Gli effetti collaterali di questo provvedimento sono stati tanti, molti devastanti e, in futuro, qualcuno dovrà risponderne.
Più passano i giorni e più si fanno netti i contenuti di quell’ordinanza e di quel castello accusatorio che, tra gli altri, vede tra gli indagati anche l’avvocato Roberto Abbruzzese.
Ci sono alcuni lati oscuri in questa vicenda che andranno chiariti e tra questi il chiaro tentativo di eliminare un personaggio scomodo come Gianni Moscherini.
Non è facile capire come sia stato possibile estrapolare questo filone di indagine da quello madre di oltre 22 mila pagine e che trae origine dagli esposti presentati dall’Arel sui materiali usati per i lavori di realizzazione della Darsena grandi Masse.
Di questa indagine si è persa traccia. Anzi. Proprio l’avvocato Roberto Abbruzzese, ascoltato in sit (sommarie informazioni testimone) dal nucleo di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza di Perugia, su mandato della Procura di Perugia, aveva raccontato di strani ritardi sulle indagini, anche queste condotte dal pubblico ministero Lorenzo Del Giudice e sul fatto che l’Arel, a seguito di un incidente probatorio, non era stata inclusa tra le parti offese.
Non solo. Sempre in sede di “sit”, Abbruzzese, ha raccontato della mancata perizia da parte del CTU della Procura di Civitavecchia che doveva certificare la qualità e l’origine della pietra utilizzata dai cavatori e dalle aziende coinvolte che, nel 2014, furono oggetto di avvisi di garanzia e sequestri.
Furono nove gli avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili a vario titolo ed in concorso tra loro del reato di “frode nelle pubbliche forniture con l’aggravante di aver commesso il fatto su opere destinate alle comunicazioni marittime, il tutto in danno della stazione appaltante Autorità Portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta“.
OPERE STRATEGICHE – Questo lo scandalo che ha investito i lavori in fase di realizzazione denominati “opere strategiche per il porto di Civitavecchia 1° lotto funzionale prolungamento antemurale Cristoforo Colombo, darsena servizi e darsena traghetti”, sequestrato il 3 giugno del 2014 dai carabinieri del Comando per la Tutela dell’Ambiente – Nucleo Operativo Ecologico di Roma, coordinati dalla Procura della Repubblica di Civitavecchia.
SEQUESTRO PREVENTIVO – Con l’atto del procuratore capo Gianfranco Amendola (oggi in pensione) e del sostituto procuratore Lorenzo Del Giudice, si era data esecuzione al decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del locale Tribunale (dottor Lorenzo Ferri) nei confronti delle opere, aggiudicate a seguito di gara d’appalto, dall’Associazione Temporanea d’Imprese composta da: Itinera Spa – Impresa Pietro Cidonio – Grandi Lavori Fincosit Spa e Coopsette Società Cooperativa, per l’importo di oltre 130.000.000 di euro.
NOVE AVVISI DI GARANZIA – Nella circostanza furono notificati nove avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti soggetti, furono eseguite numerose perquisizioni presso le abitazioni e presso gli uffici delle società subappaltatrici coinvolte e sequestrato documentazione ritenuta di interesse per il prosieguo degli accertamenti.
ESPOSTI ALLA FORESTALE – Le verifiche venivano preliminarmente avviate dal Corpo Forestale dello Stato a seguito di due esposti nei quali venivano segnalate delle irregolarità nell’esecuzione dell’appalto in questione.
A questo punto non sappiamo quale sia stato, tra i tanti, a far aprire le indagini.
Successivamente, grazie ad una articolata e prolungata attività di indagine svolta dal reparto speciale dell’Arma, si era accertato che la frode veniva realizzata da società subappaltatrici locali le quali fornivano materiali lapidei (rocce provenienti da cave della zona) e calcestruzzo difformi a quanto stabilito dal capitolato d’appalto.
CASSONI CELLULARI – Detti materiali lapidei, utilizzati per il riempimento dei cosiddetti ‘cassoni cellulari‘ che costituiscono la base delle opere a mare, sono per caratteristiche, qualità, dimensioni provenienza e natura del tutto difformi da quanto previsto dal contratto, poiché provenienti da cave diverse da quelle indicate nella documentazione prodotta alla stazione appaltante e attraverso documenti di trasporto ideologicamente falsi veniva mascherata la reale provenienza.
Soprattutto i materiali posizioni al di sotto di questi cassoni sembrerebbe addirittura provenire da materiali residui di cantiere.
QUALITA’ INFERIORE – Il materiale risultava estratto e caricato su autocarri senza alcuna attività di selezione, con rocce di dimensioni inferiori a quelle previste e con caratteristiche geologiche e meccaniche difformi da quelle richieste dal capitolato d’appalto, nonché, in frequenti casi, mescolate a terra e marna. Anche il calcestruzzo impiegato per la realizzazione dei cassoni cellulari è risultato di qualità inferiore a quanto dichiarato e richiesto nei capitolati d’appalto.
RISCHIO STABILITA’ DELL’OPERA – Il sequestro si rendeva necessario sia per l’acquisizione di ulteriori elementi probatori, ma anche al fine di fermare la realizzazione di opere che se terminate con tali modalità, avrebbero pregiudicato la loro resistenza e durata nel tempo con seri rischi per la stabilità dell’opera stessa. Allo stato attuale, di questa inchiesta e dei nove indagati si è persa ogni traccia.
“Le 12 cave del comprensorio potevano fornire il materiale idoneo – dichiarava allora Stelio Riccardi, primo firmatario della denuncia alla giornalista de Il Fatto Quotidiano – ma da queste cave non è uscito nemmeno un metro cubo”. E infatti gli investigatori scoprono che il materiale proviene da altre cave e non autorizzate. I cavatori ipotizzano anche un danno milionario all’erario in quanto “gli imprenditori devono versare un contributo ambientale per il materiale (basalto) estratto. E gli stessi comuni avranno un danno di circa un milione di euro”.
A finire sotto inchiesta i titolari delle ditte delle cave: Pietro Lo Monaco, amministratore unico della società che porta il suo nome, responsabile di estrazione e movimentazione dei materiali lapidei dalla cava; Simone e Andrea De Amicis, amministratori della Siad autotrasporti e scavi, che si occupavano del movimento terra e della fornitura del materiale da cava. E a seguire Mauro Bellucci e Giuseppe Celentano, dipendenti della società Pietro Cidonio, preposti al controllo del materiale che entrava nel cantiere, Maurizio Mazzola, il direttore dei lavori del cantiere. Infine, nell’elenco c’è Alessandro Guerra, direttore operativo della Rogedil, società aggiudicataria dell’appalto.
Solo adesso, grazie alla vicenda legata a Moscherini, si è scoperto che anche il commissario dell’Autorità Portuale di Civitavecchia, Pasqualino Monti e il segretario Maurizio Ievolella, sono finiti sul registro degli indagati e che solo nel 2016, quindi ad oltre due anni da quella prima azione, hanno subito l’interrogatorio di garanzia e proprio in questa circostanza si sarebbero ricordati delle presunte minacce e del presunto tentativo di estorsione messo in atto da Giovanni Moscherini.