Passeggiando nello storico quartiere di Pianoscarano potrete visitare una chiesa antica e dai caratteri molto suggestivi. La chiesa, intitolata all’apostolo pescatore, fu eretta nel Vicus Squaranus dopo il 1187, a seguito della costituzione del rione di Pianoscarano. La zona era originariamente inclusa nei possedimenti della potente abbazia di Farfa, solo nel 1148 fu ceduta al comune di Viterbo.
La chiesa fu costruita secondo le forme tipicamente romaniche, in seguito alleggerite dalle aggiunte derivate dai dettami dell’architettura cistercense.
La particolarità di questa struttura consiste nell’essere realizzata interamente in peperino. Si presenta impostata su una planimetria a navata unica, sviluppata in larghezza e delimitata sul fondo da tre absidi semicircolari, illuminate da monofore di varia grandezza, con copertura a tetto di capriate lignee. L’austera dimensione spaziale dell’interno, scarna ed essenziale, è in parte movimentata dal forte rialzo della zona presbiteriale rispetto al livello dell’aula.
A partire dal Cinquecento, quando la parrocchia fu assimilata al Duomo, iniziò un periodo di decadenza ed abbandono. In quella fase la gran parte degli affreschi venne irrimediabilmente danneggiata.
La chiesa di Sant’Andrea, nel 1902, fu sottoposta ad una serie di interventi di restauro, che restituirono l’originaria struttura romanica. I principali segni degli interventi sono visibili nella caratteristica facciata, preceduta da un portico a tre arcate e sormontata da un campanile a vela.
Tra le opere conservate nell’antica chiesa merita di essere ricordato un affresco, posto sulla parete dell’ingresso, raffigurante la Madonna che allatta il bambino fra angeli adoranti.
L’elemento maggiormente qualificante nella chiesa di Sant’Andrea è rappresentato tuttavia dalla suggestiva cripta spiccatamente gotica: quattro corte navate, scandite da poderose colonne, e segnate da pilastri a fascio lungo i muri perimetrali.
La nudità delle pareti dell’ipogeo, interrato e murato durante le pestilenze, è interrotta solo da qualche lacerto di affresco inerente ad un antico ciclo cristologico, riconducibile alla corrente pittorica romana della fine del Duecento, influenzata da artisti del calibro di Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti.