La vicenda configura il grave reato penale (procedibile d’ufficio) di traffico illecito di influenze. Dopo il “No” di Russo, secondo indiscrezioni infatti, è iniziato il procedimento di decadenza della concessione. Fu proprio Di Majo a presentare i manager del colosso francese, per il quale lavorava (guarda caso) lo studio legale da cui proveniva lo stesso presidente del porto
CIVITAVECCHIA – La notizia rilanciata dai colleghi de “La Provincia” ha davvero dell’incredibile. Secondo la ricostruzione giornalistica, il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Tirreno ecc. ecc. Francesco Maria Di Majo avrebbe presentato alcuni referenti del gigante energetico francese Engie ai titolari della Port Utilities della famiglia Russo con l’intento di fargli cedere tutta o parte delle quote da loro detenute.
Dopo il respingimento di tale proposta, a distanza di poco tempo (almeno così viene ricostruito) lo stizzito presidente Di Majo, dopo una lunga riflessione fatta durante i suoi ritiri spirituali dorati sulle montagne austriache di Kitzbühel avrebbe maturato la decisione di revocare la concessione alla famiglia Russo e di mettere nuovamente in gara i servizi.
Secondo le solite ma ben informate gole profonde di Molo Vespucci, a maggio dello dello scorso anno, infatti, Francesco Maria DI Maio, convocò i vertici di Port Utilities per una riunione il cui scopo, almeno in apparenza, doveva essere quello di presentare al presidente della società concessionaria dei servizi di acqua, elettricità e dati, cioè la Russo, alcuni manager di Engie (vedi sito di Engie Italia).
Per il colosso francese dell’energia che ha sede a Roma e in altre città d’Italia, Civitavecchia, sarebbe un centro strategico in Italia. Infatti, i transalpini, sono azionisti di riferimento di Tirreno Power e sta cercando da mesi di convincere il sindaco Cozzolino (attraverso le pressioni del solito faccendiere) di elaborare un project financing per l’illuminazione pubblica ed altri servizi comunali.
Port Utilities accolse l’invito di Di Majo a valutare se esistesse la possibilità di collaborare con Engie, che però, in una successiva riunione, rilanciò subito, dicendo a chiare note alla famiglia Russo, azionista di maggioranza di P.U., di non volersi limitare ad un accordo commerciale, ma di volere acquisire il controllo dell’azienda.
Dopo il rifiuto di Russo, che si disse non interessato a cedere la maggioranza della società, lo scorso mese di agosto, come ricostruito dagli stessi vertici della concessionaria nelle proprie controdeduzioni, iniziarono le contestazioni dell’Adsp, con una vera e propria escalation che a dicembre ha portato all’avvio del procedimento di decadenza.
Francesco Maria Di Maio, seppur difficile da credere per come si muove ed opera, prima di approdare a Molo Vespucci faceva l’avvocato.
Lo studio legale dal quale sono partite diverse mail a nome di Di Majo (già in epoca antecedente al complotto ai danni dell’ex presidente Monti) dove dicono provasse a lavorare; un prestigioso studio legale internazionale che, tra i propri clienti, guarda la coincidenza vanta proprio il gruppo Engie.
S T O P !
Adesso viene il bello.
La Procura della Repubblica di Civitavecchia ha l’obbligo di aprire un fascicolo su una notizia di reato ben precisa.
Commette il delitto di traffico di influenze illecite chi, fuori dei casi di concorso nei reati di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio o corruzione in atti giudiziari, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
La norma, tesa a punire le condotte di intermediazione di soggetti terzi nell’opera di corruzione tra il corrotto ed il corruttore, risponde anche ad esigenze di carattere nazionale; preme evidenziare come tale figura di reato, di derivazione internazionale, è da sempre rimasta estranea alla nostra tradizione giuridica, a causa di un problema di tipicità delle norme sulla corruzione, incentrate tradizionalmente su uno stretto rapporto tra il pubblico ufficiale e l’atto d’ufficio.
Il reato di traffico di influenze illecite è un reato comune in quanto sia il committente che il mediatore non debbono possedere una qualifica soggettiva particolare.
Solo nel caso in cui il mediatore assuma la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio il comma 3 della norma incriminatrice contempla un aggravamento di pena.
Si tratta di un reato necessariamente plurisoggettivo proprio dato che oltre al mediatore è punito anche il committente della mediazione, come contemplato espressamente dal comma 2.
Rispetto alle fattispecie corruttive, il reato in commento si presenta come una tutela anticipatoria delle stesse, volta a punire l’intermediario prima che si possa perfezionare l’accordo corruttivo tra il privato e la Pubblica Amministrazione; infatti la fattispecie è stata introdotta dal legislatore penale al fine di evitare anche le attività preparatorie rispetto a quello che potrebbe poi sfociare in una istigazione alla corruzione.
Il nucleo dell’antigiuridicità si evince e si ricava proprio nell’accordo che intercorre fra il privato ed un intermediario dove si pattuisce la dazione di un’utilità patrimoniale in cambio dell’esercizio di un’influenza di quest’ultimo su un pubblico agente, proprio al fine di orientarne le decisioni amministrative in senso favorevole all’istigatore iniziale.
L’art. 346-bis c.p. prevede due diverse ipotesi di traffico di influenze illecite: un primo caso è rappresentato dal c.d. traffico di influenze gratuito, nel quale il committente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale al mediatore affinché quest’ultimo remuneri il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o l’omissione o il ritardo di un atto di ufficio.
Si tratta di una particolare ipotesi di traffico di influenze illecite nel quale il denaro o il vantaggio patrimoniale dato o promesso dal committente al mediatore è utilizzato per remunerare il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o per l’omissione o il ritardo di un atto del suo ufficio, con un patto diretto a realizzare un delitto di corruzione propria o di una corruzione in atti giudiziari.
La seconda ipotesi è costituita dal c.d. traffico di influenze oneroso, laddove il committente remunera il mediatore affinché quest’ultimo realizzi una illecita influenza sul pubblico agente; in questo caso il denaro o il vantaggio patrimoniale dato o promesso dal committente al mediatore serve a remunerarlo per l’influenza che quest’ultimo si impegna a porre in essere sul pubblico agente.
Le relazioni che il mediatore si impegna a far valere debbono essere realmente esistenti e debbono costituire la ragione della dazione o della promessa del vantaggio patrimoniale da parte del committente.
E’ del tutto irrilevante la durata e l’intensità della relazione con il pubblico agente, ma è sufficiente che esse siano tali da influenzare, in concreto, l’azione di quest’ultimo.