L’artigiano delle borse “Vera Tolfa”: “Il mio amico maresciallo mi rivelò questo segreto. Feci anche una borsa a Ciontoli per un Pc con una tasca studiata per portare una pistola”
TOLFA – Colpo di scena a Le Iene sul caso Vannini: chi avrebbe sparato non sarebbe Antonio Ciontoli, l’agente dei servizi segreti che si è preso la colpa ed è stato condannato perché ritenuto l’uomo che ha premuto il grilletto e poi ha ritardato i soccorsi, bensì suo figlio, condannato anche lui per omicidio colposo ma solo per il comportamento successivo allo sparo del padre. La trasmissione mette nel mirino uno dei due carabinieri che ha svolto le prime indagini: il maresciallo Roberto Izzo.
Il Carabiniere non avrebbe riferito quel che sapeva su Ciontoli. Inoltre, sempre secondo una testimonianza, avrebbe avuto l’ambizione di entrare nei Servizi proprio tramite Ciontoli. Marco Vannini, 20 anni, fu ucciso nel 2015 a casa della fidanzata da un proiettile sparato dal “suocero”, Antonio Ciontoli, secondo le sentenze di primo e secondo grado.
Il racconto di Vannicola, amico dell’ex comandante dei carabinieri di Ladispoli Izzo, è stato raccolto da Giulio Golia e Francesca Di Stefano de Le Iene.
Ieri sera su Italia1 è andata in onda l’intervista: “Izzo sapeva – spiega Vannicola – che a sparare era stato il figlio di Antonio, Federico Ciontoli. E fu Izzo a suggerire al padre di prendersi la colpa (…) perché dato che faceva parte dei Servizi non gli avrebbe precluso più di tanto, mentre il figlio è giovane…”.
Come fa Vannicola a esserne al corrente?
“Un giorno Izzo è venuto nel mio negozio (di borse, ndr) e mi ha detto: ‘Sai amico mio, forse ho fatto una cazzata’.
Dico: ‘Una cazzata che si può riparare?’
‘Non lo so, forse si può recuperare, ma a livello di coscienza… sai è morto un ragazzo. È una cosa che mi porterò dentro tutta la vita’. Sono rimasto un po’ basito. Mi dice: ‘Hai sentito parlare del caso Vannini?’. Dico: sì. E mi fece ’sta confidenza che il Ciontoli l’aveva chiamato per risolvere un problema. Il Ciontoli alza il telefono e dice: ‘Robè è successo un guaio. Qui la mia famiglia ha fatto un casino, c’è il ragazzo di mia figlia ferito, nella vasca, me devi aiutà’. E Roberto gli dice: ‘Fammi capì, ma che è successo?’ E lui: ‘Robè, hanno fatto un guaio grosso, me devi fà capì come risolverlo’”.
Golia chiede conferma: “Hanno fatto un guaio grosso?”. E Vannicola risponde annuendo: “Hanno fatto un guaio grosso”. In casa, oltre ad Antonio Ciontoli (condannato a 14 anni per omicidio volontario in primo grado e solo a 5 per omicidio colposo in appello) c’erano anche (condannati tutti a tre anni) la moglie Maria Pezzillo, la figlia Martina, fidanzata di Vannini, e Federico con la compagna Viola Giorgini (sempre assolta).
Questa la ricostruzione de Le Iene: “La chiamata di Ciontoli a Izzo sarebbe partita prima ancora di quella all’ambulanza. In quell’arco di tempo sono stati persi minuti preziosi che avrebbero potuto salvare la vita del giovane Vannini”. La presunta telefonata non risulta agli atti. Risulta solo quella di Ciontoli all’ex comandante partita all’1:18, quando erano già in ospedale. Vannicola racconta che in precedenza Izzo gli spiegò: “Ho conosciuto una persona che quando andrò in pensione mi cambierà la vita. Entrerò nei Servizi”. Poi, circa sei mesi prima dell’omicidio, secondo Vannicola, il carabiniere Izzo portò Ciontoli nel suo negozio di borse per ordinarne una con una fondina, un porta pistola, all’interno. Golia è andato anche da Izzo che ha negato tutto con irritazione e fastidio.
Non solo. Davide racconta di quando Ciontoli con il maresciallo suo amico si recano nel suo negozio di pelletteria per commissionare un lavoro. Una borsa porta Pc con all’interno una tasca in grado di contenere una pistola con il fodero. Quelle foto sono sempre state sul suo profilo facebook della pelletteria.
Lui è uno dei pochi artigiani che ha il marchio “Vera Tolfa”.
Due giorni fa la ministra della Difesa Trenta ad Accordi e disaccordi di Loft ha chiesto a chi sa qualcosa di parlare con i pm. La ministra ha raccontato anche di aver chiamato più volte sul cellulare (su richiesta de Le Iene e senza risposta) il brigadiere Manlio Amadori, il secondo carabiniere di Ladispoli che seguì all’inizio il caso e che aveva fatto capire a Le Iene, di poter raccontare qualcosa, se autorizzato. Ora tocca al Comando Generale e alla magistratura battere un colpo.