Civitavecchia – Il Comune dice sì all’acquacoltura alla Frasca. Davanti la pineta 150 ettari di mare off-limits

L’acquacoltura intensiva produrrà alti livelli di rifiuti organici (feci, residui di cibo, metaboliti, ecc). A rischio la balneabilità dalla Centrale Enel fino a San Giorgio. Addio anche alla pesca e alla navigabilità di quella zona

CIVITAVECCHIA – Il Comune di Civitavecchia, con il parere favorevole fornito dall’assessore Manuel Magliani, ha dato il via libera al progetto di piscicoltura davanti alla grande pineta de “La Frasca”. Sarà occupato uno specchio d’acqua di circa 150 ettari e potrà produrre un gran numero di spigole e orate d’allevamento.

La cosa strana è che, fino a ieri, sembrava che l’amministrazione comunale non fosse favorevole al progetto per il forte impatto ambientale che avrebbe prodotto ma, se leggete la determina qui sotto, troverete evidenziato il passaggio “anomalo”.

 

Determina-PAUR-08-11-19

 

La Società Agricola Civita Ittica s.r.l. (che gestisce l’impianto per conto di Enel) potrà iniziare la realizzazione delle vasche sommerse che saranno piazzate nella fascia costiera ricompresa tra Punta Sant’Agostino e Punta della Mattonara, ad una distanza minima di circa 1,2 km dalla costa.

L’entrata a regime è prevista in 24 mesi e per la manutenzione dell’impianto off-shore a sovrintendere le operazioni di manutenzione come la sostituzione delle reti, la verifica dello stato sanitario dei pesci e l’ispezione delle componenti del reticolo e degli ormeggi ci saranno addetti qualificati, biologi marini o zootecnici e tecnici subacquei (dicono, ndr).

Il progetto di piscicoltura, riguarda sempre la centrale a carbone e le prescrizioni della VIA del 2003 che obbligavano Enel Spa alla riduzione dell’inquinamento dell’impianto di piscicoltura a terra localizzato sotto la centrale di TVN.

La compatibilità ambientale del 2003 era condizionata all’ottemperanza della prescrizione, rivolta ad Enel Produzione e contenuta nel DEC/VIA/680 dello 06/11/2003 di pronuncia positiva di compatibilità ambientale per il progetto di conversione a carbone della Centrale Termoelettrica di Torrevaldaliga Nord, che si riporta testualmente: “dovrà essere inoltre presentato un progetto definitivo per la riduzione del carico di nutrienti proveniente dalla pescicoltura, preservandone comunque l’attività, e l’allontanamento dalla linea di costa di tale scarico, al fine di migliorarne la diluizione nelle acque marine”.

L’acquacoltura intensiva consiste nell’allevamento a elevate densità, di pesci, molluschi e crostacei in condizioni controllate, siano esse confinate, come vasche d’allevamento o impianti artificiali costieri, o non confinate come gabbie a mare o allevamenti di molluschi bivalvi in colonna d’acqua o su fondali liberi.

In tutti i casi, a vario grado, gli allevamenti intensivi e semi-intensivi spesso comportano impatti ambientali negativi sugli ecosistemi ospitanti e sulle risorse ittiche selvatiche.

Mentre il Comune di Civitavecchia ha sposato il progetto, l’Amministrazione Comunale di Tarquinia sta valutando la possibilità di ricorrere al Tar per bloccare questa iniziativa.

L’impatto sull’ambiente e su uno dei tratti di costa più belli di tutta Tarquinia rischiano di essere completamente compromessi da questo progetto industriale e adesso vi spieghiamo il perché.

Questi impatti si possono raggruppare nelle seguenti categorie:

Produzione di reflui inquinanti:

È ampiamente dimostrato come a causa del grande quantitativo di mangime somministrato e delle elevate densità di allevamento, l’acquacoltura intensiva produca alti livelli di rifiuti organici (feci, residui di cibo, metaboliti, ecc). Queste sostanze, ricche di composti organici, sono in grado di portare forti squilibri ambientali innescando fenomeni di eutrofizzazione (crescita incontrollata di alghe e fitoplancton) con conseguenze negative per l’ambiente circostante, soprattutto a livello dei fondali.

Trattamenti sanitari:

La somministrazione di medicinali e vaccini è praticata negli allevamenti intensivi con lo scopo di prevenire l’insorgere di epidemie e scongiurare perdite di prodotto. L’utilizzo di antibiotici e antiparassitari non è ovviamente privo di impatti ecologici e sanitari, e non ha tardato a sollevare grandi polemiche a livello mediatico.

Non esistono ancora dati certi riguardo l’effetto sull’ecosistema degli antibiotici utilizzati in acquacoltura, anche se, a titolo di esempio, alcuni casi di studio hanno dimostrato un legame causa-effetto fra utilizzo di questi medicinali e la diminuzione del tasso di crescita di specie algali alla base delle reti trofiche locali (Science for Environment Policy – UE Commission). Questione chiave risulta inoltre la possibilità, già paventata per l’allevamento zootecnico tradizionale, di trasferire la resistenza agli antibiotici attraverso la catena trofica, ai ceppi batterici che colpiscono l’uomo.

La rigida regolamentazione sull’utilizzo precauzionale dei medicinali, il miglioramento delle tecniche di allevamento, il trattamento adeguato dei rifiuti, e lo sviluppo del settore a favore di situazioni sempre meno intensive, rappresenta  l’unica soluzione a questa criticità.

Inquinamento genetico:

È ormai realtà comprovata quella dell’inquinamento genetico delle popolazioni selvatiche mediante ibridazione con organismi fuggiti accidentalmente dagli allevamenti o a seguito di rilascio di gameti in gabbie a mare, con ciò che ne consegue in termini di impoverimento della biodiversità.

Nella fattispecie il danno è riconducibile alla forte selezione artificiale effettuata in ambiente di allevamento a favore di caratteristiche quali ad esempio il rapido accrescimento o la bassa aggressività; l’ibridazione con la popolazione selvatica potrebbe provocare effettivamente la trasmissione di tali caratteri a scapito della capacità di sopravvivenza degli ibridi in ambiente naturale.

L’allevamento di specie alloctone (soprattutto invertebrati), originarie cioè di altre zone del pianeta, spesso provoca gravi squilibri dal momento che tali specie possono essere più competitive per spazio e risorse alimentari, delle specie autoctone che occupano la stessa nicchia ecologica.

Inquinamento chimico:

Nella gestione degli impianti di allevamento sono impiegati grandi quantitativi di sostanze chimiche, soprattutto biocidi utilizzati come disinfettanti o nei trattamenti antivegetativi di reti e impianti subacquei.

Questi prodotti provocano effetti tossici, che spesso ricadono su organismi non target, tra i molti effetti si contano: rallentamento della crescita nei molluschi, danni agli apparati respiratori dei pesci e inibizione della crescita del fitoplancton. 

Nonostante l’evidente progresso fatto nella produzione di sostanze meno dannose e nel loro utilizzo più responsabile (IUCN, 2017), la chimica nell’allevamento intensivo rimane una criticità fondamentale della sostenibilità di questo settore produttivo.