Coronavirus – Il virologo Bassetti: “Le conseguenze possono essere permanenti”

“Il coronavirus ha un impatto molto forte sul fisico e potrebbe lasciare danni permanenti in alcuni guariti”. A dirlo a Iene.it è Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova e presidente della Società italiana di terapia anti-infettiva

Professor Bassetti quali sono gli effetti che lascia il coronavirus in chi l’ha superato?
“Qui al San Martino abbiamo già organizzato un’équipe per vedere quali saranno a lungo termine, tra sei mesi, un anno. Per ora li conosciamo solo da 8 settimane. Penso, ma sono solo previsioni mentre stiamo studiando questa malattia, che chi ha avuto sintomi lievi o medi tornerà quello di prima. Magari dopo un po’ di tempo: si registrano a volte per settimane la mancanza di gusto e olfatto o una stanchezza mostruosa, da non farcela ad alzare una gamba o un braccio dal letto. Parliamo infatti di un virus dall’impatto molto forte sul fisico, anche in chi è più giovane. È un po’ come moltiplicare i postumi di un’influenza per due o tre volte”.

Sarà così per tutti?
“No, per alcuni anziani che hanno avuto una polmonite interstiziale e bisogno di aiuto ospedaliero a respirare, le conseguenze potrebbero essere permanenti sull’apparato respiratorio. Più difficile che lo siano su cuore, fegato, reni, sistema nervoso, apparato digerente. Del resto, il 40-50% di questi pazienti è dovuto già restare in ospedale per altre cure dopo che si erano negativizzati”.

Quando fa il tampone per verificare la guarigione?
“21 giorni dopo i primi sintomi, a prescindere da quando è stato fatto il primo tampone in ospedale, in media 10 giorni dopo il manifestarsi della malattia. All’inizio lo facevamo, secondo quanto veniva indicato dall’esperienza cinese, dopo due settimane: abbiamo visto però che c’erano ancora tantissimi positivi”.

La Iena Alessandro Politi è risultato positivo dopo 45 giorni. Basta la quarantena di 14 giorni per chi magari non ha fatto nessun tampone?
“È potenzialmente un rischio. Ci sono grandi variabilità da persona a persona come succede per tutti i virus. Abbiamo verificato che ci sono persone che ‘negativizzano’ anche dopo 45-50 giorni. Se non si può fare un secondo tampone, sicuramente bisogna sempre portare, se si esce, almeno una mascherina. Del tipo giusto però”.

Cioè?
“Quella chirurgica, contenitiva e ‘altruista’, che evita anche di contagiare gli altri. Io per strada non la metto, ma la uso in qualsiasi contesto in cui si può diffondere il virus. Meglio evitare le FFP2 con la valvola per esempio, che sono ‘egoiste’ e magari proteggono solo chi le indossa. E anche tutte le mascherine fai-da-te che vediamo in giro. Le FFP3 lasciamole invece a infermieri e medici, a chi entra in contatto con i malati con rischi alti…”.

Sta per partire la Fase 2. Lei ha detto: “Altro che scuole, bisognava chiudere gli anziani in casa”.
“Non voglio entrare in nuove polemiche: se uno dice il suo parere scientifico sembra che voglia attaccare un politico o un altro. Dico soltanto che quelli che sono stati colpiti dal coronavirus non sono stati i bambini ma gli anziani.

È su di loro che bisognerà concentrarsi, con orari differenziati per andare a fare la spesa e per uscire e con ogni misura possibile. Per la Fase 2 bisogna guardare anche a cosa stanno facendo gli altri in Europa”.

Andando in quale direzione?
“Noi italiani siamo stati bravissimi a gestire l’emergenza sanitaria, su questo siamo stati campioni del mondo: tutti i malati in ospedale hanno avuto un posto letto e sono stati assistiti al meglio. Ora la Germania riparte, la Svizzera non si è quasi mai fermata, la Spagna sta riaprendo, la Francia sta per farlo. Quest’epidemia ci ha insegnato come l’Europa debba essere ripensata anche dal punto di vista sanitario, ci vorrebbe una cabina di regia unica su questa Fase 2, mentre all’inizio ogni Paese è andato per la sua strada in maniera scomposta e scoordinata. Meglio ripartire anche noi, insieme e con buon senso”.

Gli italiani hanno dimostrato buon senso?
“Almeno prima della pandemia spesso è mancato. Perché noi abbiamo avuto così tanti casi? Siamo il Paese in cui se uno ha la febbre si vanta di andare al lavoro lo stesso, quando invece bisogna stare a casa con qualsiasi tipo di malattia. Lavarsi le mani? In Italia mancano i distributori di sapone e la carta per asciugarsi in tantissime scuole, stazioni, bagni pubblici. Bisognerebbe ripartire investendo anche su materiali e cultura ‘epidemiologica’ per abbassare tutti i tipi di contagio. Coronavirus in testa. Dal punto di vista infettivologico siamo molto ‘ineducati’”.