Omicidio Angeletti – Parla la criminologa Tonia Bardellino: “Nessun raptus, Cesaris ha agito con lucidità e premeditazione”

“E’ uscito portando con sé un’arma, quindi con tutta l’intenzionalità e la programmazione precisa di commettere l’infausto fatto con lucidità”

VITERBO – «Sì, sono stato io a sparare. È stato un raptus, un momento di follia. Con la mia ex? Eravamo stati insieme quattro anni, poi ci eravamo lasciati, lei si è trasferita a Viterbo dove finalmente aveva vinto un concorso da ricercatrice. Eravamo in buoni rapporti, siamo rimasti amici, ma io l’amavo ancora, avrei voluto tornare con lei».

Così Claudio Cesaris, 68 anni, ha ammesso davanti al magistrato di essere stato proprio lui a esplodere il colpo di pistola (arma ancora non ritrovata) che ha ucciso Dario Angeletti.

Una gelosia morbosa per la sua ex collega ricercatrice che pensava avesse una relazione con il 50enne professore associato in Ecologia all’università della Tuscia trovato senza vita riverso sul sedile di guida della sua Volvo V40 parcheggiata nel piazzale delle Saline di Tarquinia.

Cesaris  non conosceva Dario Angeletti, ma lo pedinava da tempo. A muovere la follia di Cesaris sarebbe stata la gelosia, quella gelosia che lo ha spinto a trasferirsi nella Tuscia con l’ unica ossessione di inseguire la “sua” ricercatrice in Zoologia.

Fino alla scoperta del (presunto) legame tra la sua ex compagna e il professor Angeletti,  che ha acceso tutta la rabbia di una personalità malata e mai rassegnata dall’ abbandono.

Abbiamo incontrato Tonia Bardellino,  psicologa sociologa, criminologa, docente di sociologia della devianza e della criminalità all’università La Sapienza di Roma e di criminologia al master di II livello in criminologia dell’università Niccolò Cusano di Roma. Cura una rubrica settimanale per Vero e Ora. Consulente dei casi Loris Stival e il delitto di Cogne. Con Alessandro Meluzzi ha pubblicato Madri assassine (2015) e Società fusa (2016) , e a lei abbiamo chiesto un’ analisi criminologica del delitto.

Partiamo dal profilo psicologico del tecnico universitario in pensione, Claudio Cesaris…

Non conosciamo ancora perfettamente la dinamica dei fatti, né la storia di vita di questo uomo, essendo le indagini in una fase preliminare, da quello che è emerso finora siamo di fronte ad un soggetto con disturbi di personalità da diagnosticare e valutare, che rivede la donna in questione come un oggetto e un’ossessione. Una personalità debole e incerta, le cui  potenzialità possono essere tante e trasversali. Cesaris, nel prototipo criminologico può giungere a tutto, anche al suicidio, come vediamo in tanti casi di cronaca.

Secondo la sua esperienza è stato un delitto d’impeto o premeditato?

Il delitto quasi sicuramente di matrice passionale, è lo sfogo di rabbia e frustrazione generati e accumulati nel tempo dalla fine della relazione con la ricercatrice.

I media hanno parlato di raptus, può passare dal punto di vista giornalistico per enfatizzare l’accaduto, ma in questo specifico caso il termine non ha nessun fondamento scientifico.  Soprattutto nella letteratura criminologica e psicologica quando si parla di raptus, questo può verificarsi nei particolari e rari casi di malattia mentale che portano al delirio, come la schizzofrenia o altre patologie certificate clinicamente.

Nel caso in questione e allo stato dei fatti è evidente la premeditazione, indipendentemente dalle dinamiche che sono in fase di approfondimento e che chiariranno le variabili ancora indefinite.

Di chiaro c’è che Cesaris è uscito portando con se un’arma, quindi con tutta l’intenzionalità e la programmazione precisa di commettere l’infausto fatto con lucidità.

Perché colpire Angeletti che, secondo una prima ricostruzione, neanche lo conosceva?

Angeletti, con il quale la ricercatrice aveva stretto amicizia, o forse qualcosa di più, era l’ ostacolo predominante.

Con la sua eliminazione punisco lei ed esercito la mia vendetta. Siamo di fronte ad un “delitto liberatorio” che porta alla soppressione definitiva del rivale, attraverso un’escalation di violenza programmata per uccidere.

Una variabile costante nella fattispecie di questi delitti è “l’omicidio di prossimità” , cioè commesso dalle persone più vicine a noi e che conoscono bene la nostra intimità, ex mariti o ex compagni.

Lui che dall’hinterland milanese segue lei nella Tuscia, nella stessa città, nella stessa frazione, pur non avendo qui nessun interesse. Si sarebbe potuto fermare prima?

Ci sono dei segnali che sicuramente sono stati ignorati: la volontà del Cesaris di stalkerizzare, perseguitare e controllare gli spostamenti di questa donna sono evidenti, a causarli l’attaccamento morboso di una personalità fragile ed insicura, tutti elementi predittivi che non sono stati denunciati.

Invitiamo quindi, all’infinito, tutte le donne a denunciare…

Invitiamo anche le istituzioni a fare di più. La teoria c’è molta, la pratica meno.

Una denuncia è spesso un delitto annunciato. La donna che denuncia ha bisogno di protezione e sostegno.

I centri antiviolenza ad esempio sono una grande risorsa e funzionano molto bene, gli operatori ascoltano e sostengono subito le donne, prima di tutto l’ iter burocratico previsto dal percorso di denuncia.

I legali potranno tentare la strada dell’infermità mentale per il Cesaris?

I legali potranno anche intentare questa linea difensiva, richiedendo una perizia sulla capacità d’intendere e di volere di Cesaris.

Tentativo che avrà scarsissimi risultati poiché ciò che emerge chiaramente è la volontà di commettere l’efferato delitto, unito alla capacità di razionalizzare e organizzare: c’è un inseguimento, un incontro, sicuramente uno scontro verbale e infine lo sparo di un colpo.

Tutti segnali di una rancore accumulato nel tempo ed esploso come una pentola a pressione.

B.f.

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