Viterbo – Lutto per il collega Stefano Polacchi, è venuta a mancare l’amata moglie Adriana

Viterbo – Si è spenta oggi Adriana Barbafieri, moglie di Stefano Polacchi caporedattore del Gambero Rosso, strappata alla vita in pochissimo tempo per un maledetto male. E’ lui stesso a raccontare chi era sua moglie, una donna che abbiamo avuto il piacere di conoscere, e anche se per poco, è stato un piacere vero e sincero, così come era lei, sorridente, vitale, mai scontata e pronta a trovare il bello in qualsiasi angolo della terra. Vi lasciamo alle parole che Stefano ha scritto su cittàpaese.it per raccontare di una donna che ha reso il mondo migliore.

“Adriana Barbafieri, la protagonista di questa storia, si è spenta da poco. Era mia moglie. Ma era soprattutto una grande donna, una animalista convinta e una persona per cui la difesa del nostro ambiente, qualunque esso fosse, deve essere vissuta come una pulsione normale e quotidiana. Adriana è nata a Viterbo 61 anni fa, ne ha vissuto a Roma una ventina ed è tornata a Viterbo insieme a me 10 anni fa quando ci siamo sposati. Siamo stati al liceo insieme, mi sono innamorato di lei immediatamente, ci siamo fidanzati a vent’anni poi ci siamo lasciati e ripresi e alla fine ci siamo sposati. L’una per l’altro siamo stati un amore lungo una vita. Ma non è questo lato privato che voglio raccontare di Adriana. Credo che molti viterbesi l’abbiano incontrata per le vie della cittadina con un cane su un carrellino o intorno a qualche colonia felina urbana ad accudire i gatti randagi di proprietà del Comune. Si, i gatti randagi, anche quelli che vivono nel peggiore dei modi, hanno un proprietario: il Comune. Ma lei se ne faceva carico insieme alle amiche che condividevano questa missione. Anzi, più che di questo si faceva carico di un’altra operazione che ha sempre pensato dovesse essere elemento portante di una politica del Comune per i suoi animali (gatti, ma anche cinghiali e altri). Adriana era infatti una “catturatrice” di gatti, li prendeva, li faceva sterilizzare e/o li curava e li accudiva, se possibile cercava di dare loro una nuova famiglia oppure, se non ce la faceva, li rimetteva in colonia senza però il fardello di un calore e di una gravidanza ogni 4 mesi.

Insomma, era una di quelle persone che volgarmente definiamo “gattara”, ma che io chiamerei animalista nel senso pieno del termine, ovvero una che pensava che non possa essere solo l’uomo il centro di se stesso, ma che proprio perché autore di immani casini e sconvolgimenti nella natura, l’uomo dovrebbe occuparsene per cercare di non far soffrire i suoi simili animali e per garantire a tutti pari dignità. Ovviamente era vegetariana. E ne era convinta. Ma non è mai stata ideologica. E io, che invece lavoro al Gambero Rosso e mangio carne di tutti i tipi senza comunque andarne particolarmente fiero, sono invece fiero di lei e del suo esempio. Magari ce ne fossero molti di più. E sono fiero di un’altra sua attività quotidiana. Lei era precaria nella scuola e negli ultimi anni ha operato nel sostegno. Era un lavoro e anche se non lo avrebbe mai scelto, avendo potuto, in realtà era un lavoro in linea comunque con quella che viveva come sua mission: salvare il mondo. Non so se per fortuna o per sua grande sfortuna. Lei passava ore a discutere cercando di convincere persone a sterilizzare gli animali: animali che vivono per strada per colpa degli uomini che continuano ad abbandonarli e che per questo dovrebbero farsene carico cercando di non farli più vivere in sofferenza e da randagi. La sua missione era anche pulire quello che gli altri sporcano. Lei camminava per le strade di Viterbo e raccoglieva continuamente carte e plastica e vetro gettati a terra: conosceva tutti i cestini e i secchioni della città e li monitorava continuamente per poterci lasciare quello che raccoglieva. L’avrete anche vista passeggiare e raccogliere. Negli ultimi giorni prima del dramma (è stata stroncata da un tumore neuroendocrino molto molto aggressivo), eravamo a fare una breve passeggiata su viale Raniero Capocci, davanti al Ragioneria, e lei si abbassava di continuo a raccogliere oggetti buttati, carta, cartaccia, plastica e vetro. “Ma perché lo fai? Non possiamo farci una passeggiata tranquillamente io e te senza altri pensieri?” le ho chiesto. E lei: “Ma non mi costa nulla, non ci toglie nulla! Che mi cambia raccogliere due carte e metterle nel cestino?” mi ha risposto. E io: “Vero, ma non pensi che dovrebbero farlo tutti? Che non puoi da sola pulire il mondo?”. “Si – mi ha risposto – ma intanto io lo faccio. Spero di dare anche un esempio. E comunque, ripeto, non mi costa nulla e mi fa piacere farlo. Una volta – mi ha raccontato – ho raccolto una cartaccia vicino alla panchina dove era seduta una signora. Lei mi guarda e mi fa: ma lei è un angelo. Le ho sorriso e le ho detto: no, sono una donna come lei… Possiamo farlo insieme”. Ecco, questo era Adriana. Pensarla mi spezza il cuore per averla persa, ma me lo riempie anche di amore. Non voglio raccontarvi una storia privata, ma una storia d’amore. Una storia di amore non privata, ma pubblica, dedicata a tutti noi uomini e donne e persone e animali sotto uno stesso cielo.

Adriana è stata una donna di una vitalità unica e allo stesso tempo è stata una donna anche depressa e desiderosa di morire. Credo più per difendersi dal dolore di una vita che lei viveva molto anche come sofferenza, che non per desiderio di morte vero. Anche questi elementi credo possano essere purtroppo comuni a molti di noi umani. Lei è stata una donna iper vitale, una donna difficile, anche dura e a volte cinica (sempre come arma di difesa, un po’ come tutti i cinici!) ma una persona leale sempre e con tutti, una persona vera, diretta, con un cuore immenso aperto sul mondo (purtroppo per lei, perché questo significa in genere anche respirare tutte le ingiuste le sofferenze di questo mondo).
Adriana era in parte una anarchica, non tollerava imposizioni, ma al tempo stesso era convinta che gli esseri umani dovessero agire insieme per ottenere qualcosa. Adriana era una “gatta sciolta” nel senso che collaborava con chiunque facesse qualcosa e che però allo stesso tempo non ha mai voluto appartenere a nessuna organizzazione: il suo pensiero era che solo tutti insieme e senza barriere e partendo dal quotidiano ognuno di noi può fare qualcosa di buono… Paradossalmente il suo non aderire organicamente a nessuna associazione era il suo modo per dire io sto con tutti voi, senza divisioni.
Adriana è, è stata, una donna di cui ho voluto raccontarvi la storia perché il racconto possa portare un po’ di consapevolezza in più nel mondo e nella nostra piccola città… Ciao Adriana!

A volte non sono stato capace di sostenere le sue “provocazioni”. Mi vergognavo di aspettare che sfamasse i gatti come una gattara o che raccogliesse le carte come una barbona. Purtroppo non ho la sua forza. E me ne pento. Ma spero di aver imparato qualcosa da lei”.
(stefano polacchi)