Acquapendente – Aprire un cassetto e rivivere ricordi e profumi di un passato meraviglioso

Emozioni regalate dalla collezione privata di Alberto Belardi messa in mostra per “Il fascino del Cinema degli anni ‘50 e ‘60”

di Carlo Ciavoni
ACQUAPENDENTE – Come può il cassetto di una scrivania, aperto quasi per caso, svelare all’improvviso un mondo affascinante, fatto di fotografie che accendono bei ricordi ed emozioni felici…ma soprattutto: come può l’apertura quasi per caso di quel cassetto eccitare la voglia di storici, studiosi del costume e cultori ed esperti di comunicazione per immagini, di allestire una mostra e pubblicare un bellissimo libro, costruito appunto con tutte quelle fotografie?

Per rispondere a queste domande, occorre fare un breve passo indietro in questa storia. Anzi, no: nel rispetto delle regole fondamentali che noi cronisti dobbiamo rispettare, meglio dare subito la notizia nuda e cruda.

Eccola: ad Acquapendente, nella sede della bella biblioteca comunale, è stata allestita una mostra dal titolo “Il fascino del Cinema degli anni ‘50 e ‘60”, realizzata con la collezione privata di Alberto Belardi.

Una persona assai speciale che, purtroppo, non c’è più, ma di cui parleremo fra poco. La rassegna è rimasta aperta fino al 2 novembre, ma il libro che contiene tutte le immagini, i racconti e le riflessioni sul Cinema di quell’epoca e più in generale sulle trasformazioni nella società italiana dal dopoguerra ad oggi, potrà essere richiesto alla stessa biblioteca. Si consiglia comunque di telefonare per avere conferma.

Ma andiamo con ordine. Quel cassetto di cui si parlava all’inizio era della scrivania di Alberto Belardi. Ad aprirlo, nei giorni in cui si stava riorganizzando la casa di famiglia, è stata la figlia, Anna, professoressa di Lettere, ex consigliere comunale ed assessore del Comune di Acquapendente.

Nell’aprire una cartellina custodita tra altre carte, sono venute fuori una gran quantità di fotografie di attori e attrici italiane e straniere, che Anna da bambina ricordava di aver già visto, rimanendo colpita dal fascino delle immagini che evocavano un mondo lontano, inarrivabile, fantastico. Ma i ricordi dei bambini, si sa, con il tempo che passa vengono avvolti e sepolti dai rumori e dalle nebbie prodotti dal trascorrere degli anni.

Così, appunto, davvero per caso, Anna si è ritrovata nella mani quella gran quantità di bellissime fotografie, che – ancora una volta per caso – una sera a cena ha sottoposto a due suoi amici ospiti, Beatrice Autizi e a Cesare Goretti: la prima è una critica d’arte, scrittrice, storia e appassionata di fotografie; il secondo, un art director fotografo e grafico esperto. E’ stata quella una sera decisiva, perché cominciò a maturare velocemente l’idea di trasformare quel ritrovamento in un evento culturale, da mettere a disposizione della città di Acquapendente, e non solo. Ma forse soprattutto per celebrare in qualche modo la memoria di Alberto Belardi, per il quale ora vale la pena aprire una breve parentesi.

Alberto – che ho conosciuto molti anni fa e del quale conservo un ricordo dolce di una persona semplicemente deliziosa, sempre sorridente e ironica, un autentico maestro di ottimismo – era nato nel 1920. Era rimasto, dopo la morte prematura del padre, a capo di una famiglia composta da sua madre e da tre sorelle più piccole: aveva solo 17 anni. Aveva dovuto prendere atto, già così giovane, della responsabilità che la sorte gli ha riservato e si era subito impegnato nello studio. In tempi brevi, con il diploma da ragioniere in mano aveva cominciato a lanciare ovunque il suo curriculum e la sua urgente voglia di lavorare per garantire a sé e alla sua famiglia un minimo di sicurezza per affrontare il futuro. Tra le numerose risposte che aveva ricevuto – all’epoca era ancora possibile una cosa del genere – Alberto aveva scelto di rispondere a quella del ministero del Commercio con l’Estero. Nel 1950 era avvenuto l’incontro con Verdiana Guerrini, il grande amore della sua vita, la donna con la quale ha formato la sua famiglia. Al ministero era stato assegnato alla direzione che si occupava dell’acquisto dei film dall’estero e della vendita delle produzioni cinematografiche italiane nel resto del mondo. Un’occasione che lo aveva messo in condizione di allargare gli orizzonti delle sue conoscenze. Occasione che lui ha saputo cogliere e sfruttare, tanto da guadagnare in breve tempo postazioni rilevanti nell’ambiente di lavoro.

Il libro legato alla mostra sul cinema degli anni ‘50 e ‘60, oltre che dai ricordi di Anna Belardi, è arricchito anche dal contributo degli altri due autori. Cesare Goretti, il quale sottolinea come “Nel contesto della rinascita postbellica, il Cinema italiano si presenti come parte del sistema culturale che si va sviluppando”, diventando uno degli strumenti di intrattenimento di massa più frequenti, anche per far crescere una nuova cultura visiva. Il Cinema – mette in risalto Goretti – alimenta a sua volta un fiorire di pubblicazioni periodiche, dove la fotografia assume un ruolo centrale che diventa il veicolo ideale per richiamare “i fasti della mondanità, legati alla nuova borghesia” che si andava formando.

Beatrice Autizi, nelle pagine del libro affronta invece un altro aspetto, suscitato proprio dalle fotografie della collezione di Alberto Belardi. Il decennio grosso modo preso in esame – 1950, 1960 – il Cinema italiano si stava affrancando dal neorealismo, tanto da lasciare spazio alla commedia, a pellicole assai semplici, con forti richiami alla cultura popolare, “a volte introspettivi che coinvolgevano emotivamente” con meccanismo facili, immediati. E’ stato però – sottolinea Autizi – anche il periodo in cui c’è stata l’affermazione di nuovi registi, attori e attrici ai quali va riconosciuto di aver innovato il linguaggio cinematografico, “mettendo al centro della loro ricerca tematiche esistenziali inedite, che analizzavano in modo diverso il contesto storico e il rapporto uomo-donna”. Beatrice Autizi fa – non a caso – i nomi Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni, di Luchino Visconti, di Vittorio De Sica, autore e regista “di vivaci commedie senza tralasciare i panni dell’attore”. Era venuto alla luce anche un nuovo modi di essere comici, con le sceneggiature e le regie di Monicelli, le interpretazioni di Gassman, Mastroianni, Tognazzi, Renato Salvatori, Claudia Cardinale.

Un altro capitolo, nella minuziosa analisi di Beatrice Autizi, è dedicato alla “nuova idea di bellezza femminile”. Nel frattempo cambiava la moda, e Audrey Hepburn con i suoi “tubini” era diventata la modella più ammirata. Nella popolazione femminile aumentava la voglia di sentirsi belle, di affascinare e la moda colse al balzo l’occasione per alimentare quella voglia, quel nuovo bisogno. Il Cinema rilanciava tutto questo ed esaltava la bellezza delle donne, anche attraverso il trucco, le scollature, le gonne e vita stretta: tutti segnali che diventarono immediatamente cultura diffusa.

Il libro, proprio all’inizio, contiene una dedica che Anna Belardi rivolge ai suoi figli, Lorenzo e Margherita. Che contiene un po’ il senso di questa bella operazione culturale, fondata su reperti storici, stimoli culturali e affetti profondi. Scrive Anna: …perché non dimentichiate quel nonno che avete conosciuto per un periodo troppo breve e viviate voi stessi assieme ai vostri figli nella consapevolezza dell’importanza del passato e delle proprie origini”.